Tecla Insolia ha conquistato il David di Donatello 2025 come Miglior attrice protagonista per la sua interpretazione di Modesta nella serie L'Arte della Gioia, diretta da Valeria Golino. La cerimonia, tenutasi l’8 maggio al Teatro 5 di Cinecittà, ha celebrato il meglio del cinema italiano in una serata che ha unito musica, emozione e spettacolo. Alla conduzione, per la prima volta insieme (e non esenti da critiche), Elena Sofia Ricci e Mika.
L’interpretazione di Insolia è stata definita “intensa”, “coraggiosa”, “vibrante”. E su questo non si discute. Il personaggio di Modesta è tra i più complessi della narrativa contemporanea. Una donna nata nella Sicilia del primo Novecento, cresciuta tra miseria, desiderio e ribellione. Un ruolo che ha richiesto coraggio, istinto e trasformazione. E Tecla Insolia ha dimostrato tutto questo.

Ma qualcosa stona. E non è solo una voce isolata a pensarlo. Il David assegnato a Insolia – per quanto meritato – lascia un retrogusto strano. Una sensazione difficile da ignorare. Perché la sua prova d’attrice, per quanto brillante, è figlia di un contesto molto diverso da quello degli altri candidati. Il tema si apre qui. Modesta, come personaggio, vive e respira in sei episodi. Ha ore per farsi conoscere. Può evolversi, espandersi, rivelare sfumature. A differenza di un personaggio cinematografico che ha al massimo due ore per restare nella memoria. È davvero giusto confrontarli?
Tecla Insolia vince il David: quando sei ore valgono più di due, il vero vantaggio che nessuno dice
Non è la prima volta che un’opera seriale partecipa ai David di Donatello. Il regolamento lo permette, se l’opera è stata distribuita prioritariamente al cinema. E L'Arte della Gioia lo ha fatto: due uscite in sala, a maggio e giugno 2024, in più sale, per più giorni. Così è entrata di diritto nella competizione. Ma la regola formale non cancella il nodo sostanziale. Il linguaggio di una serie tv non è quello di un film. E nemmeno il tempo a disposizione lo è. Un’attrice che interpreta un personaggio lungo sei episodi ha un enorme vantaggio. Ha tempo per farsi amare. Per sbagliare. Per cambiare e mostrare ogni minima ombra. Un’attrice da film ha un solo colpo. E deve far centro in fretta.
Questo squilibrio è il cuore dell’ingiustizia. Tecla Insolia ha avuto l’occasione – sfruttata al massimo – di esplorare Modesta in tutta la sua complessità. Ma era un’occasione che le altre attrici in gara non hanno avuto. Da Barbara Ronchi a Celeste Dalla Porta, nessuna ha potuto lavorare con lo stesso respiro narrativo. Il confronto è impari. Anche se nessuno lo dice.
Perfino il premio a Valeria Bruni Tedeschi come miglior attrice non protagonista – anche lei parte del cast di L’Arte della Gioia – rientra nello stesso scenario. Un doppio riconoscimento a un’opera potente, sì, ma dilatata, stratificata, seriale. E quindi, inevitabilmente, più efficace sul lungo periodo.
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Non si tratta di togliere nulla a chi ha vinto. Ma di riflettere su cosa premia davvero un premio. La qualità attoriale? L’interpretazione nel formato specifico? Oppure una narrazione più ampia, già di per sé favorita dal mezzo? Il David a Tecla Insolia è il simbolo di una trasformazione in atto. Il confine tra cinema e serie si fa sempre più sottile. Ma i premi, forse, dovrebbero ancora tener conto della differenza di struttura. E del tempo. Perché il talento, da solo, non basta a spiegare tutto.
Chi vince davvero, quando il terreno non è lo stesso per tutti? Questa è la domanda che resta. E che, almeno per ora, lascia l’amaro in bocca.