Per la prima volta dal 1955, il Festival di Sanremo non è più affidato direttamente alla Rai. Il Comune di Sanremo, in risposta a una sentenza del Tar della Liguria, ha pubblicato un bando aperto per assegnare l’organizzazione e la trasmissione della kermesse musicale dal 2026 al 2028, con possibilità di proroga. Ma nel testo ufficiale c’è una clausola che sta facendo discutere: se gli ascolti scendono sotto una certa soglia, il contratto può essere annullato.
La clausola anti-flop che cambia tutto
Il bando contiene un dettaglio molto preciso. Se l’emittente che si aggiudicherà la gara registrerà ascolti inferiori di oltre 15 punti rispetto alla media delle ultime cinque edizioni, il Comune potrà revocare l’incarico. Una mossa che, sulla carta, garantisce la qualità del prodotto. Nei fatti, però, sembrerebbe rappresentare una soglia difficilmente raggiungibile da chiunque non sia la Rai.
Sanremo, infatti, è ormai un prodotto televisivo costruito su misura dal servizio pubblico. La Rai dispone delle risorse, del pubblico fidelizzato e della struttura necessaria per ottenere numeri vicini al 60% di share in prima serata per cinque serate consecutive. Ma gli altri?
Un bando aperto, ma solo sulla carta?
Il Comune ha aperto la gara a tutti gli operatori economici titolari di un canale generalista nazionale che trasmetta in chiaro. In teoria, quindi, anche Mediaset o Discovery potrebbero candidarsi. Ma la clausola sugli ascolti impone standard quasi impossibili per chi non può contare sullo zoccolo duro di telespettatori storici della Rai.
Per qualcuno potrebbe trattarsi di un bando “inclusivo” solo formalmente. Nei fatti, il rischio flop diventa un deterrente fortissimo per qualsiasi operatore che voglia provarci. La Rai, che ha trasmesso il Festival ininterrottamente dal 1955, apparirebbe ancora una volta l’unica in grado di rispettare quel parametro.
Una sfida quasi impossibile
La presenza di questa clausola potrebbe tagliare le gambe a qualsiasi concorrente. Anche Carlo Conti, che dovrebbe tornare alla conduzione nel 2026 dopo il successo del 2025, potrebbe trovare quasi insostenibile un Festival che debba garantire per forza un certo numero di ascolti. Dietro il palco dell’Ariston c’è un apparato produttivo imponente: regia, luci, orchestra, trasmissione in diretta, copertura radio, digitale e social. Chiunque pensi di poter replicare questi numeri da un’altra emittente dovrà affrontare un’impresa titanica. Non basta avere un buon progetto artistico. Servono struttura, storia, squadra e fiducia del pubblico.

Una clausola pensata per proteggere il brand?
Secondo il Comune di Sanremo, questa condizione serve a tutelare la visibilità e il prestigio della manifestazione. Il rischio, però, è che si trasformi in un filtro implicito. Più che una tutela, potrebbe sembrare quasi un muro invisibile a difesa dello status quo.
Il bando prevede che il nuovo partner debba anche versare almeno 6,5 milioni di euro all’anno al Comune, più una quota pari ad almeno l’1% dei ricavi da pubblicità e marchi. Un impegno economico già rilevante, che, unito alla clausola sugli ascolti, rende l’operazione estremamente rischiosa per chiunque non parta con una base di pubblico consolidata.
Sanremo non è più della Rai, almeno secondo la burocrazia. Ma nei fatti, quel Festival capace di dominare la scena televisiva italiana sembra ancora strettamente legato al servizio pubblico. La clausola anti-flop inserita nel bando è il segnale più chiaro: non basta essere bravi, bisogna essere infallibili.
