Squid Game 3 e il teatro di Shakespeare, universi diversissimi ma con un inquietante dettaglio in comune: impossibile non notarlo

Squid Game 3 è uscita su Netflix il 27 giugno 2025. È l’ultima stagione della serie che ha cambiato la storia della piattaforma coreana.

In sei episodi carichi di tensione, la serie chiude il cerchio. Gi-hun si sacrifica per salvare la figlia della giocatrice 222. Nessuno degli eroi originari sopravvive. L’erede del premio finale è una bambina. Innocente. Fuori dal sistema. Un segnale amaro ma giusto, secondo l’estetica morale di Squid Game. Tutti parlano del finale. Ma pochi si sono fermati a guardare con attenzione un altro dettaglio. Meno evidente, ma forse ancora più potente.

Un personaggio secondario. Una presenza silenziosa e inquieta. Una donna che sembra folle ma custodisce la verità: la sciamana Seon-nyeo, nota anche come Player 044. Questo personaggio non è solo un elemento esotico o spirituale. È qualcosa di più profondo. È un archetipo teatrale che torna a vivere sotto nuove forme. Chi ha amato William Shakespeare lo riconoscerà. O almeno lo sentirà risuonare. Perché Seon-nyeo è, in tutto e per tutto, un fool.

Squid Game 3
La sciamana di Squid Game 3, giocatrice 044

La sciamana di Squid Game 3 è il fool shakespeariano che non ti aspettavi

Shakespeare amava i suoi fool. Li creava per deridere i potenti, ma anche per raccontare la verità senza veli. Per colpire dove gli altri tacevano. Non erano solo buffoni. Erano coscienze erranti. Profeti mascherati da folli. Come il fool di King Lear. Come Seon-nyeo. In Squid Game 2, la sciamana compare per la prima volta. Ma è nella stagione 3 che il suo ruolo si fa centrale. E anche inquietante. Parla per enigmi. Non risponde. Guarda oltre. Sembra dire cose insensate, ma ogni sua frase anticipa un evento chiave.

Come quando fissa la pancia della giocatrice 222 e sussurra: “Hai vissuto più a lungo di quanto dovevi. Ora capisco perché. Sei qui per una ragione.” All’inizio sembra un delirio. Poi tutto prende senso. Gi-hun si sacrifica per quella bambina. Il cerchio si chiude. La sciamana lo aveva visto prima di tutti. In un altro episodio dice: “Ogni anima si ripete. Chi è pronto ad ascoltare, sa già quando finirà il proprio cammino.” È la morte che parla. Ma anche il destino. In forma teatrale. In forma profetica. Esattamente come facevano i fool nei drammi elisabettiani.

Il loro compito non era solo divertire. Ma smascherare. Spogliare i re e i potenti. Portare la verità travestita da assurdo. La sciamana ha lo stesso ruolo. Vive ai margini. Ma dice ciò che nessun altro osa. È vista come una pazza. Eppure è l’unica davvero lucida. La sua presenza non è folklore, ma un dispositivo narrativo preciso. Serve a condurre lo spettatore oltre le apparenze. Nella cultura coreana, lo sciamanismo è profondamente radicato. Ma qui diventa altro. Diventa coscienza collettiva. Diventa Shakespeare.

Come nel teatro di corte, dove solo il buffone poteva criticare il re. Anche in Squid Game solo Seon-nyeo può parlare con la morte in faccia. Quando lei esce di scena, tutto si compie. Il silenzio cala. La verità si è già detta. Ma chi l’ha capita? Netflix non lo dice. Non lo mostra. Non lo sottolinea. Ma c’è. Un legame antico e moderno. Invisibile ma evidente. Shakespeare è tornato. Non tra spade e castelli. Ma tra stanze sorvegliate e giochi di morte. E lo ha fatto con la voce più fragile e potente: quella del fool.

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