Netflix, film che sfiorò l’Oscar: storia vera di un uomo contro il sistema, da vedere prima che sparisca

Sta per lasciare Netflix, ma pochi film meritano una visione come L’arte di vincere (Moneyball), interpretato da Brad Pitt. Non è solo una storia di baseball. È una lezione di coraggio, innovazione e solitudine. Una storia vera che ha emozionato l’Academy e cambiato il modo di pensare lo sport.

Il film racconta la vicenda di Billy Beane, manager degli Oakland Athletics. È il 2001. Il club ha perso i suoi migliori giocatori. I soldi scarseggiano. Nessuno crede più nella squadra. Beane decide di sfidare tutto. Le regole, i giornalisti, il suo stesso staff. Incontra Peter Brand (interpretato da Jonah Hill), un giovane economista con un’idea: costruire la squadra con la sabermetrica, ovvero analisi matematica e dati. Scelta rivoluzionaria. E impopolare. La loro è una battaglia silenziosa contro il potere tradizionale. Contro chi pensa che conti solo il talento grezzo. E invece no: contano i numeri, l’intelligenza e il coraggio. Contano le scommesse sugli scartati.

Chris Pratt, Philip Seymour Hoffman, Robin Wright, Stephen Bishop: un cast di grande forza che accompagna la narrazione con autenticità e dolore. Perché questa non è una favola. È un film che brucia. Nel 2012 ottenne 6 nomination agli Oscar, incluso Miglior Film, Attore Protagonista (Brad Pitt) e Attore Non Protagonista (Jonah Hill). Non vinse, ma rimase nella memoria. Anche per la sceneggiatura firmata da Aaron Sorkin e Steven Zaillian.

Tratto dal libro di Michael Lewis, Moneyball è una dichiarazione d’intenti. Cambia le regole del gioco. E non solo nel baseball. Ha influenzato l’NBA, il calcio europeo, il mondo delle start-up e persino il management aziendale. Netflix lo rimuoverà il 30 giugno. Manca pochissimo. Questo è uno di quei film che devono essere visti ora. Prima che scompaia dal catalogo. E si perda l’occasione di capire cosa vuol dire davvero cambiare le cose.

Netflix
Brad Pitt in L’arte di vincere su Netflix

Netflix, un film che ha cambiato il modo di raccontare lo sport

“L’arte di vincere” non cerca l’applauso facile. Non mostra miracoli sportivi. Racconta scelte. E rinunce. Racconta il dubbio di un uomo che ha fallito da giocatore. E che da manager cerca redenzione in un foglio Excel. La forza del film è la sua umanità. Brad Pitt incarna Beane con uno sguardo sempre in bilico tra determinazione e solitudine. Non è un eroe. È un uomo che sbaglia. Ma continua a credere nella sua visione.

Moneyball è stato un punto di svolta anche per il cinema. Dopo questo film, tante altre storie hanno preso la stessa direzione. Più strategia, meno retorica. Più cervello, meno muscoli. Dalla serie Ted Lasso a documentari come The Last Dance, il modello narrativo è cambiato. Chi guarda oggi “L’arte di vincere” non vede solo un film sportivo. Vede una metafora del cambiamento. Del lavoro silenzioso. Della rivoluzione che parte dal basso e dai numeri.

Non lasciartelo scappare. Non capita spesso che un film riesca a essere così lucido e struggente allo stesso tempo. E Netflix lo rimuoverà a fine mese. Hai tempo fino al 30 giugno. Poi questa storia tornerà nell’ombra. Ma se la guardi adesso, ti resterà dentro. Più di quanto immagini.

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