Capolavoro folle di Ferreri su RaiPlay: una pistola a pois e un finale che ti resta addosso per sempre

“Dillinger è morto” è su RaiPlay. E non è un film qualsiasi. È un colpo secco all’anima.

Marco Ferreri lo girò nel 1969. Lo interpretò un monumentale Michel Piccoli. Accanto a lui, Anita Pallenberg e Annie Girardot. Un trio che da solo vale la visione. Il film fu presentato al Festival di Cannes. Vinse il Nastro d’Argento per il miglior soggetto originale. Ma il vero premio è la sua eredità. Un film che ha cambiato tutto, senza sembrare mai interessato a farlo. Su RaiPlay, lo puoi vedere oggi. Ma non aspettarti spiegazioni. Né emozioni servite con la didascalia. Aspettati solo la verità: la vita, a volte, è silenziosa, assurda e letale.

Glauco, il protagonista, è un designer di maschere antigas. Torna a casa una sera. La moglie dorme. La cena è fredda. Il silenzio è totale. Un uomo normale davanti all’abisso della sua esistenza. Nel buio della cucina, Glauco trova una pistola. Una Bodeo modello 1889. Avvolta in vecchi giornali che parlano della morte di John Dillinger. Inizia così la deriva.

Dipinge l’arma di rosso. Le mette dei pois bianchi. Intanto guarda filmini privati. Gioca con la cameriera. Mangia, beve, tace. Ma dentro di lui qualcosa cambia. Si rompe. Definitivamente. Quella notte, Glauco compie un gesto irreversibile. Poi scappa. Si imbarca su uno yacht. Vuole andare a Tahiti. Ma dove sta andando davvero? Forse da nessuna parte. O forse dentro di sé. “Dillinger è morto” è un film di poche parole. Ma ogni gesto ha il peso di un urlo. È una riflessione sul vuoto, sull’alienazione borghese, sulla crisi dell’identità maschile. Non è un film da guardare: è un’esperienza da attraversare. Ferreri non offre risposte. Ma costruisce immagini che si fissano nella memoria.

RaiPlay
Un frame di Dillinger è morto

Stasera in tv il film che ha anticipato il futuro: tra scandalo, profezia e ispirazioni

Molti critici vedono in questo film l’embrione di Taxi Driver. Non è una forzatura. La scena in cui Glauco monta e dipinge la pistola è potente quanto quella di Travis davanti allo specchio. Ferreri racconta la solitudine. Ma lo fa con colori sgargianti, rumori strani, una regia senza compromessi. Ogni dettaglio parla: la casa fredda, la tv accesa, la musica vintage che taglia l’atmosfera.

Le canzoni di Jimmy Fontana e Lucio Dalla sembrano messaggi nascosti. Come se la colonna sonora volesse cullarti mentre ti perdi nella mente di Glauco. Le location sono vere case. Quella di Ugo Tognazzi, quella di Mario Schifano. Il mondo reale entra nel film e lo contamina. Ma diventa qualcosa di altro, di disturbante.

Il finale è una carezza e uno schiaffo. Glauco guarda un orizzonte finto. Il sole è rosso. La sua libertà è una bugia. Ma almeno ha lasciato tutto. O forse ha perso tutto. “Dillinger è morto” non vuole compiacere. Non si può riassumere in una frase. Ma chi lo vede, non lo dimentica. Oggi, che è disponibile su RaiPlay, vale più che mai. Non solo perché è un cult. Ma perché ci obbliga a fare i conti con il silenzio, la noia, e la parte più oscura di noi.

Guardalo. Non perché è “importante”. Ma perché è vivo. Perché parla ancora. E perché forse, ci riguarda tutti più di quanto crediamo.

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