Il Commissario Ricciardi 3 ci ha deliziati questa settimana con un doppio appuntamento nelle prime due sere della settimana su Rai 1, con un Lino Guanciale sempre eccellente (insieme a un cast altrettanto straordinario) e una storia in grado di incollarci al piccolo schermo. In effetti lo stesso si può dire solo di un’altra fiction Rai del periodo autunnale: Blanca. Anche il personaggio brillantemente interpretato da Maria Chiara Giannetta è riuscito ad ottenere l’amore del pubblico e a farsi seguire nella sua avventura fino all’ultima puntata, totalizzando ascolti importanti. Ma qual è la differenza sostanziale tra queste due punte di diamante della televisione di Stato? Analizziamola.
La storia di Ricciardi in questa terza stagione si spinge in profondità. Il commissario decide di affrontare i suoi veri sentimenti per Enrica (Maria Vera Ratti) e non solo li confessa apertamente chiedendo ai genitori di lei la mano della figlia, ma addirittura rivela il suo oscuro segreto, riducendo la donna amata in uno stato febbrile. La paura che la sua ‘maledizione’ possa essere trasmessa a eventuali figli è tanta. Insomma, il personaggio guarda in faccia alla realtà, forse come non aveva mai fatto nelle due stagioni precedenti. Questa differenza rispetto al passato e rispetto a tutte le altre fiction Rai si sente dal primo episodio. E affonda le radici in un modo di raccontare che appartiene solo a Maurizio de Giovanni, la penna dietro tutto.
E poi c’è Blanca, interpretata da una straordinaria Maria Chiara Giannetta, che percorre un’altra strada. Più luminosa, contemporanea e immediata. Ma non è solo questo il punto. È vero che da una parte c’è la profondità storica e dall’altra la freschezza del presente, ma nel mezzo, a fare la differenza è la complessità emotiva. Ecco in che senso.

La lezione che Ricciardi offre a Blanca: trasformare il dolore in racconto
La terza stagione de Il Commissario Ricciardi restituisce una Napoli rara, a tratti lenta e sempre poetica. Un personaggio a sé stante. Ogni elemento crea un’ambientazione che non accompagna soltanto la trama, ma la modella dall’interno. In Blanca 3 succede l’opposto. Genova diventa gioco di riflessi, colore e movimento. Le scene hanno un ritmo rapido. Le relazioni sentimentali hanno molto più peso delle indagini. Sia chiaro, la serie resta irresistibile, ma perde ogni tanto la complessità emotiva che dà spessore a ogni caso.
È questo il punto: in Ricciardi ogni caso è importante. Ed è qui la differenza. Il commissario vede l’ultimo istante dei morti e la loro sofferenza. Blanca sceglie un’altra via. Sceglie l’ironia, l’energia e la forza della sua fragilità. Eppure, per diventare una fiction ancora più grande, potrebbe fare tesoro della lezione di Ricciardi: rendere il dolore personale un motore narrativo professionale. Non solo una parentesi introspettiva.
La vera lezione nasce nella distanza tra le due serie. Il Commissario Ricciardi 3 mostra come l’introspezione possa diventare trama. Il commissario scava nelle sue ferite. Ogni indagine diventa un piccolo viaggio nell’anima umana. Blanca 3, invece, privilegia l’azione, il ritmo, la vitalità dei suoi personaggi. Ma limita (un po’) la profondità emotiva che potrebbe rendere la serie ancora più potente. Se Blanca accogliesse la lezione di Ricciardi, potrebbe trasformare i casi in qualcosa di più.
E allora il dettaglio che fa la differenza è semplice e immenso: Ricciardi trasforma il dolore in linguaggio. Blanca lo sfiora soltanto. Se lo abbracciasse davvero, diventerebbe forse la migliore delle fiction Rai contemporanee.
