Da oggi su Netflix arriva Il colore viola (2023), il film diretto da Blitz Bazawule che ha commosso il mondo e perfino Steven Spielberg, produttore di questa nuova versione insieme a Oprah Winfrey e Quincy Jones. È un’opera che parla di ferite, ma anche di musica, speranza e rinascita. Una storia che nasce nel dolore e fiorisce nella libertà.
Tratto dal romanzo vincitore del Premio Pulitzer di Alice Walker, il film non è un semplice remake del capolavoro del 1985. È un canto collettivo, un musical che unisce radici afroamericane, gospel e jazz, mescolando tragedia e luce. Bazawule, artista ghanese e visionario, dà voce a un racconto eterno con un linguaggio nuovo, moderno e vibrante. Il risultato è un film che non lascia indifferenti, che entra nel cuore e ci resta.
La protagonista è Celie, interpretata con intensità da Fantasia Barrino. Una donna afroamericana cresciuta nella Georgia rurale dei primi del ’900, segnata dagli abusi, dalla violenza e dall’umiliazione. Le hanno portato via i figli, la libertà e perfino il diritto di sognare. Ma non la sua forza. Accanto a lei la sorella Nettie (Halle Bailey), la ribelle Sofia (Danielle Brooks), e la magnetica cantante jazz Shug Avery (Taraji P. Henson), che le insegna a vedersi, finalmente, come una donna degna di amore e rispetto. Ogni personaggio è un frammento di resistenza. Ogni canzone è un urlo dolcissimo di vita. Il dolore diventa musica, la musica diventa libertà. Bazawule dirige con delicatezza, alternando sogno e realtà, corpo e spirito. Non cerca di imitare Spielberg, ma di dialogare con lui. E ci riesce.

Su Netflix Il colore viola, un successo che parla al presente
Il colore viola ha conquistato la critica internazionale, raccogliendo decine di riconoscimenti e nomination ai Golden Globe, ai BAFTA e agli Oscar. Danielle Brooks ha ottenuto una candidatura come miglior attrice non protagonista, mentre la regia e i costumi sono stati lodati per eleganza e autenticità. Nel complesso, il film ha ottenuto 39 vittorie e 99 candidature in tutto il mondo. Numeri che raccontano solo in parte la sua potenza emotiva.
Al botteghino, l’esordio è stato travolgente: oltre 18 milioni di dollari nel primo weekend in Nord America e un totale mondiale vicino ai 69 milioni. È il miglior risultato per un musical post-pandemia, e conferma la voglia del pubblico di tornare a emozionarsi con grandi storie corali e autentiche. Ma il vero trionfo è quello invisibile: l’impatto culturale. Come la prima versione del 1985, anche questa porta sullo schermo un racconto di emancipazione femminile e identità afroamericana che continua a ispirare. È un film che parla di come ci si rialza dopo essere stati annientati. Di come, anche nel silenzio più profondo, la voce interiore può diventare canto.
Ci sono momenti che restano addosso. Il sorriso di Celie dopo anni di buio. L’abbraccio finale tra le sorelle. Le note gospel che salgono come una preghiera. Ogni scena è un invito alla resilienza. Non serve essere religiosi per sentire la spiritualità che attraversa ogni fotogramma. Fantasia Barrino, già protagonista del musical a Broadway, regala una performance che è un miracolo di fragilità e potenza. Taraji P. Henson brilla di sensualità e malinconia. Danielle Brooks è esplosiva. E Colman Domingo, nei panni di Mister, incarna la violenza di un’epoca con un’intensità disarmante.
Prodotto da Warner Bros. e distribuito in tutto il mondo, Il colore viola è una lezione di cinema e umanità. Non un remake, ma una rinascita. Una lettera d’amore alla forza delle donne nere, alla sorellanza e alla musica che salva l’anima. Guardarlo oggi su Netflix significa attraversare un secolo di storia, ma anche riconoscersi nelle cicatrici e nelle speranze di chi non smette di credere. È un film che parla di te, di noi, di ogni persona che ha dovuto reinventarsi. E quando scorrono i titoli di coda, resta solo una certezza: non si dimentica. “Il colore viola” è la prova che la bellezza, a volte, nasce dal dolore. E che anche le ferite possono diventare canto.
