Sovversivo, amato, indimenticabile: su RaiPlay il gioiello nascosto con Domenico Centamore che bruciò Montalbano, dimenticate il Piccionello di Màkari

Ci sono storie che non invecchiano, anzi si fanno più potenti col tempo: Il giudice meschino è una di quelle ed è su RaiPlay. Il film segnò un’epoca nella fiction italiana. Una storia di redenzione, corruzione e coraggio ambientata in Calabria, diretta da Carlo Carlei e tratta dall’omonimo romanzo di Mimmo Gangemi.

Nel ruolo del protagonista, un Luca Zingaretti sorprendente, lontano dal celebre Commissario Montalbano che l’ha reso iconico. Qui è Alberto Lenzi, un pubblico ministero indolente, disilluso, uomo stanco del mondo. La sua vita cambia quando un collega e amico, Giorgio Maremmi interpretato da Gioele Dix, viene assassinato in un agguato mafioso. Da quel momento, Lenzi si risveglia e decide di scoprire la verità dietro la morte di Maremmi.

Accanto a lui c’è Luisa Ranieri nel ruolo del maresciallo Marina Rossi, mente lucida e cuore ferito. E c’è anche Domenico Centamore, l’indimenticabile Piccionello di Màkari, che qui appare in una veste completamente diversa: ruvida, minacciosa, magnetica. Interpreta Francesco Manto, uomo di ’ndrangheta, ma con un’umanità spiazzante. È il volto di un Sud complesso, pieno di contraddizioni e dignità.

Completano il cast Andrea Tidona nei panni del procuratore Giacomo Fiesole, Paolo Briguglia come ispettore Michele Brighi e Maurizio Marchetti nel ruolo di Don Mico Rota, il boss anziano che sembra sapere tutto. Una coralità che funziona, perché ogni personaggio è una ferita aperta nel tessuto della Calabria.

Il giudice meschino uscì nel 2014 come miniserie in due puntate da circa cento minuti ciascuna, conquistando oltre 6,4 milioni di spettatori e un clamoroso 22,5% di share. Un risultato che “bruciò” perfino Montalbano. Oggi RaiPlay lo ripropone in una versione unica, compatta e cinematografica, da 138 minuti: un film che si guarda d’un fiato, denso come un noir d’autore e luminoso come il mare che racconta.

Girato tra Reggio Calabria, Aspromonte e decine di location autentiche, il film è anche un atto d’amore per la terra calabrese. Carlei, originario di questa regione, torna qui per raccontare la sua gente, le ombre e la speranza di un Sud che non si arrende. Ogni inquadratura è reale, vissuta, priva di artifici. La luce taglia le montagne e accende il mare. La fotografia si fa denuncia, poesia e riscatto.

RaiPlay
Domenico Centamore ne Il giudice meschino

Su RaiPlay Il giudice meschino tra corruzione e rinascita: la Calabria che non si era mai vista

Al centro del film c’è il risveglio morale di un uomo. Lenzi, inizialmente cinico e distante, si ritrova immerso in una rete di traffici di rifiuti radioattivi, di segreti e di collusioni tra Stato e criminalità. Più scava, più comprende che la giustizia non è solo un mestiere, ma una scelta quotidiana. E che il silenzio, in certe terre, può uccidere più di una pistola. La sceneggiatura, fedele al romanzo di Gangemi, non ha paura di mostrare la verità. Parla di ’ndrangheta, di poteri forti, di cittadini che si voltano dall’altra parte. Ma soprattutto parla di dignità. Ogni personaggio, anche il più oscuro, lotta con il proprio senso di colpa.

La forza del film sta nel non offrire eroi perfetti. Lenzi non è un modello. È fragile, ambiguo, imperfetto. E proprio per questo, umano. In questa complessità si inserisce il personaggio di Centamore, che dona una sfumatura diversa al racconto: quella del colpevole che non smette di cercare una via di redenzione. Il giudice meschino non è tratto da una storia vera, ma prende ispirazione da fatti di cronaca realmente accaduti: traffico di rifiuti tossici, discariche illegali, corruzione politica. Temi che oggi, dieci anni dopo, risuonano ancora più forti. Per questo la sua attualità non si è mai spenta.

Il film ha lasciato un segno anche oltre la tv. Ha influenzato un’intera generazione di fiction civili italiane, da La guerra è finita a Rocco Schiavone, aprendo la strada a un modo nuovo di raccontare la legalità. Senza retorica, con emozione. Ha mostrato che la Calabria poteva diventare protagonista di storie universali, non solo sfondo. Oggi, rivederlo su RaiPlay è come riaprire una ferita che però guarisce. È un film che parla di riscatto, di paura, di scelte. Un film che ti mette davanti a uno specchio e ti chiede: tu, cosa faresti al posto suo?

Dimenticate il Piccionello ironico e tenero di Màkari. In Il giudice meschino Domenico Centamore mostra il suo lato più intenso, scavando nei silenzi, nello sguardo, nella verità di un Sud che non si arrende mai. E questo basta per dire che sì, è davvero un gioiello nascosto.

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