Sfiorò tre Oscar, commosse il mondo intero: stasera in tv un kolossal troppo sottovalutato, emblema del cinema delle emozioni

Stasera in tv, alle 21:11 su Twentyseven (canale 27), torna un film che ha segnato il cinema d’autore degli anni Ottanta. “Greystoke – La leggenda di Tarzan, il signore delle scimmie” non è solo una versione del mito, ma una riflessione potente sull’identità, la solitudine e il confine tra natura e civiltà. Diretto da Hugh Hudson nel 1984, appena tre anni dopo il successo mondiale di Momenti di gloria, il film rivelò al mondo un giovane Christopher Lambert e lanciò Andie MacDowell, doppiata nell’edizione originale da Glenn Close.

La pellicola ottenne tre nomination agli Oscar – miglior attore non protagonista (Ralph Richardson, candidato postumo), miglior trucco e miglior sceneggiatura non originale – e vinse il BAFTA per il miglior trucco. Un riconoscimento meritato per un’opera che univa realismo e poesia visiva, lontana dagli effetti speciali e dalle avventure patinate. Hudson puntò su un approccio naturalista, dove la giungla diventava metafora del cuore umano.

La storia nasce dal romanzo di Edgar Rice Burroughs, ma qui viene riscritta come un dramma esistenziale. I genitori di Tarzan, Lord e Lady Clayton, naufragano sulle coste africane. Dopo la loro morte, il piccolo viene adottato da una scimmia e cresce nella giungla, ignaro delle proprie origini. Quando l’esploratore belga Philippe D’Arnot (interpretato da Ian Holm) lo ritrova, lo riporta in Inghilterra. Ma la civiltà, con le sue regole e le sue ipocrisie, si rivela una gabbia ancora più crudele della foresta. Il ritorno alla giungla non è fuga: è un atto di libertà. Tarzan sceglie la sua natura, rifiuta un mondo che non riconosce più. È qui che Christopher Lambert offre una prova d’attore sorprendente, intensa e silenziosa, costruita su sguardi e gesti più che su parole. Accanto a lui, Andie MacDowell incarna una Jane Porter dolce e tormentata, simbolo di un amore impossibile tra due mondi inconciliabili.

Girato tra il Camerun e la Gran Bretagna, tra giungle autentiche e residenze storiche, Greystoke colpì la critica per la sua estetica raffinata e la fotografia densa di luce e fango. Hudson e il direttore della fotografia John Alcott (storico collaboratore di Stanley Kubrick) costruirono un racconto dove la natura non è solo sfondo, ma personaggio vivo, feroce e materno insieme.

Al di là dell’epica, Greystoke è un film sull’umanità perduta. Sull’uomo che, nel tentativo di tornare alle origini, si accorge di non appartenere più a nessun luogo. È il cinema che parla per immagini, che affida al silenzio più verità di mille dialoghi. Un kolossal che non cercava l’applauso facile, ma la commozione profonda. Per questo fu amato, frainteso e poi dimenticato. Oggi, riguardandolo, si coglie tutta la sua attualità: il bisogno di autenticità in un mondo sempre più artificiale.

Greystoke non è solo un film su Tarzan. È la storia di un uomo che cerca se stesso in mezzo al rumore del progresso. È una parabola sul ritorno alla verità, sulla forza degli istinti e sull’impossibilità di adattarsi a un’umanità che ha smarrito il contatto con la terra. Hudson costruisce un ponte tra due linguaggi: quello della civiltà e quello del selvaggio, e lascia che si infrangano l’uno contro l’altro con una dolcezza tragica.

Stasera in tv
Greystoke, stasera in tv

Stasera in tv Greystoke, un kolossal che ha cambiato il modo di raccontare l’eroe

Con Greystoke, il cinema d’avventura smise di essere solo intrattenimento. Arrivò la riflessione. Dopo questo film, ogni adattamento di Tarzan – da quello Disney del 1999 al recente Legend of Tarzan con Alexander Skarsgård – dovette fare i conti con l’ombra lunga di Hudson. L’eroe che combatte la giungla divenne l’uomo che la comprende. La forza lasciò spazio alla tenerezza. Il film, pur candidato agli Oscar, non vinse alcuna statuetta. Ma il tempo gli ha restituito ciò che meritava: uno status di capolavoro malinconico, di grande cinema britannico capace di fondere emozione e introspezione. È uno di quei titoli che dimostrano come anche un kolossal possa essere poetico, come un mito possa trasformarsi in carne e sangue.

Rivederlo oggi significa ritrovare un’epoca in cui il cinema osava commuovere. Dove la tecnologia lasciava il posto all’anima. Dove il corpo sporco di fango valeva più di qualsiasi effetto digitale. In un mondo di immagini perfette, Greystoke resta un inno alla fragilità, al coraggio di non appartenere, al dolore del ritorno. Stasera in tv su Twentyseven non va in onda un semplice film, ma una parabola moderna sull’essere umano. Un kolossal troppo sottovalutato, ma capace di ricordarci perché amiamo il cinema: perché solo lì possiamo riconoscerci, anche tra le ombre della giungla.

Lascia un commento