RaiPlay: una donna, una voce, una ferita aperta nel cuore della musica europea. Sulla piattaforma della Rai c’è un film che non urla. Sussurra. Ma fa male.
È “Dalida”, il biopic struggente diretto da Lisa Azuelos che racconta la vita di Iolanda Cristina Gigliotti, in arte Dalida, nata al Cairo e morta a Parigi nel 1987. In questo racconto intenso ci sono il talento, la fama, i palchi. Ma anche la fragilità, la solitudine, la voglia di sparire. C’è tutto. Dalida è interpretata da Sveva Alviti. Non parlava nemmeno francese quando ha ottenuto il ruolo. Lo ha imparato da zero. Ha studiato i gesti, la voce, il dolore.
Accanto a lei, un cast di volti che restano impressi. Riccardo Scamarcio è Orlando, il fratello-produttore. Jean-Paul Rouve veste i panni del marito Lucien Morisse, boss di Europe 1. Niels Schneider è Jean Sobieski. E poi c’è Alessandro Borghi. Borghi è Luigi Tenco, il cantautore italiano morto suicida a Sanremo. La sua scena è breve ma devastante. Lo sguardo che lascia Dalida nella stanza. L’abisso che segue. Un’interpretazione che incide come un coltello. Uno dei momenti più forti dell’intero film.
Ogni fotogramma è attraversato dalle sue canzoni: “Bang Bang”, “Je suis malade”, “Il venait d’avoir 18 ans”. Non accompagnano. Raccontano. Sono parte viva della narrazione. Il film ripercorre 30 anni di carriera e tragedie. Dagli esordi al successo planetario. Dall’amore alla morte. Fino alla sua decisione di andarsene, nel silenzio di una stanza a Montmartre.

Su RaiPlay Dalida, il dolore dietro la voce: un ritratto senza veli
“Dalida” non è un classico film biografico. È una seduta d’anima. Una confessione senza risposte. Un viaggio nel cuore di una donna spezzata ma luminosa. Il regista non cerca l’effetto facile. Punta all’essenza. Alla verità dietro la leggenda. E ci riesce grazie anche alla collaborazione del fratello Orlando, che ha contribuito a mantenere la storia autentica.
Sveva Alviti ha dichiarato di essersi sentita “posseduta” dal personaggio. Per lei, interpretare Dalida è stato più che un ruolo: un’ossessione. Ogni giorno passava ore al trucco. La trasformazione fisica era necessaria. Ma è quella emotiva a lasciare il segno. Sullo schermo e dentro lo spettatore. Il film ha ricevuto una nomination in Francia. Ma il riconoscimento più grande è quello del pubblico che, col tempo, lo ha riscoperto. E amato.
Non ha fatto il giro dei premi internazionali, è vero. Ma ha tracciato una via. Quella del biopic emotivo, personale, viscerale. Ha anticipato pellicole come “Judy” o “Whitney”. E ha dimostrato che anche in Europa si può raccontare la musica con sincerità. “Dalida” è cinema del dolore, ma anche dell’empatia. Ti entra sotto pelle. Ti costringe a sentire e ti accompagna in un tempo in cui il successo non bastava a riempire i vuoti interiori. Guardandolo, non si riesce a non pensare a tutte le volte in cui abbiamo cercato amore nei posti sbagliati. A quante canzoni sono diventate la nostra medicina. RaiPlay lo rende disponibile. Gratuitamente. Non è solo un film. È una lettera lasciata aperta. Un addio sussurrato in una lingua che non ha bisogno di traduzioni. Se ami la musica, la verità e le storie che restano sotto pelle, non puoi perderlo.
