Quando Julia Roberts ci guarda negli occhi (e ci dice che il mondo sta finendo). Il film da guardare ora su Netflix.
Ci sono film che non guardi: li attraversi. Esperienze che ti spingono fuori dal divano, che spostano l’equilibrio del salotto con un’inquadratura, una battuta, un silenzio. E quando al centro di tutto c’è Julia Roberts, l’attrice che con uno sguardo può farti sentire in colpa per l’apocalisse, allora capisci che non si tratta del solito thriller da sabato sera. La pellicola in questione è da settimane tra le più viste su Netflix. Non solo in Italia, ma nel mondo. Un fenomeno da oltre 136 milioni di visualizzazioni, che ha rimesso in gioco i codici del cinema catastrofico e li ha filtrati con la lente di un’autorialità precisa, chirurgica, spietata. Una storia che non urla, ma ti sussurra la fine del mondo all’orecchio, mentre ti chiede se hai aggiornato il Wi-Fi.
E non è un caso che tra i produttori ci siano Barack e Michelle Obama, che qui sembrano volerci dire: “È così che finisce, e non serve nemmeno una bomba”. La fine non arriva con un’esplosione. Ma con una notifica che non carica. Al centro della scena c’è una famiglia perfetta, con le vacanze prenotate e i problemi chiusi in valigia. Ma basta un blackout, una petroliera arenata e due sconosciuti alla porta per scardinare ogni certezza. La tensione cresce senza effetti speciali, solo con le parole, con i silenzi. Con Julia, che ti guarda come una madre che ha appena capito di non poter proteggere più nessuno. Con Mahershala Ali, che entra in scena come l’unico a sapere la verità, ma anche l’unico consapevole che la verità ormai non conta nulla.
Il film lavora ai fianchi, ti sfianca, ti fa dubitare di ogni frame. È pieno di indizi, ma nessuna risposta. I droni, i cervi, i rumori nel cielo, le auto impazzite: nulla è spiegato. Tutto è sentito. Perché quello che fa davvero paura non è il collasso del sistema, ma la solitudine che ci resta addosso quando tutto crolla e non abbiamo nessuno da chiamare. In un panorama di titoli urlati e trame esagerate, questo film sceglie il contrario. Il sussurro. L’inquietudine. Il dubbio. E lo fa attraverso un cast impeccabile, in cui ogni attore trova il punto esatto in cui la propria fragilità può diventare una bomba emotiva.
Non è un caso che, tra le performance più discusse dell’anno, ci sia proprio quella di Julia Roberts: materna, rabbiosa, devastata, forse la sua prova più intensa tra le tante dai tempi di Erin Brockovich. C’è chi ha storto il naso, parlando di ritmo lento o finale troppo aperto. Ma forse è proprio questo il punto: non ci sono più finali. Solo continue sospensioni, blackout narrativi che assomigliano troppo a quelli che viviamo ogni giorno. E allora ci aggrappiamo all’arte, anche se ci fa male, anche se ci dice che non saremo salvati.
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