Fuochi d’Artificio – Sandokan porta la Resistenza su Rai1: ma “La Storia” con Jasmine Trinca resta imbattibile? Fiction a confronto

Fuochi d’Artificio – Sandokan è arrivata su Rai1 il 15 aprile, nel cuore della settimana dedicata all’80° anniversario della Liberazione. Una miniserie che racconta la Resistenza attraverso gli occhi di quattro bambini.

Con uno sguardo fresco ma profondo, la fiction riporta sullo schermo il tema della Seconda guerra mondiale. I protagonisti sono giovanissimi. Hanno coraggio, ideali e una missione: combattere l’oppressione con piccoli gesti eroici. Nel cuore delle Alpi piemontesi, Marta, Davide, Sara e Marco diventano partigiani. Agiscono in segreto sotto l’identità collettiva di “Sandokan”. Così nasce un racconto di crescita e lotta, che mescola realtà e simbolismo.

La fiction è diretta da Susanna Nicchiarelli e tratta da un romanzo di Andrea Bouchard. Lo stile visivo è limpido. I dialoghi sono diretti. Il ritmo resta alto per tutta la prima puntata, andata in onda ieri sera. Il messaggio è chiaro: anche i più piccoli possono diventare grandi di fronte all’ingiustizia. Il racconto si muove tra avventura, emozione e memoria collettiva. Il tono è adatto ai ragazzi. Ma colpisce anche gli adulti, grazie alla forza dei simboli.

L’arrivo di Sandokan fiction sulla rete ammiraglia della Rai invita a un confronto inevitabile con un’altra grande produzione recente: “La Storia”, diretta da Francesca Archibugi e tratta dal capolavoro di Elsa Morante. Ambientata a Roma tra il 1938 e il dopoguerra, “La Storia” racconta la vita di Ida Ramundo, maestra ebrea, madre fragile e resistente. Il volto intenso di Jasmine Trinca ha lasciato il segno nel cuore degli spettatori.

In entrambi i casi, il filo conduttore è la Resistenza. Ma le modalità sono opposte. Laddove Sandokan cerca la speranza, La Storia mostra il dolore. Due linguaggi, un’unica memoria condivisa.

Fuochi d’Artificio – Sandokan e La Storia: due fiction, una guerra. Il coraggio nei bambini, il dolore nelle madri

La Storia è più cupa. Ambientata nel quartiere di Pietralata, attraversa i bombardamenti, le persecuzioni razziali, la fame. Racconta la Seconda guerra mondiale dal basso. Non ci sono eroi. Solo sopravvissuti. Ida nasconde le sue origini. Subisce violenza. Cresce i figli da sola. Il primo, Nino, passa dal fascismo alla Resistenza. Il secondo, Useppe, nasce dall’orrore e cresce nella paura. La regia di Francesca Archibugi è sobria. La sceneggiatura (scritta anche da Francesco Piccolo) è fedele al romanzo. Lo spettatore assiste in silenzio, travolto da immagini intense e realistiche.

Fuochi d’Artificio – Sandokan, al contrario, alterna leggerezza e dramma. I bambini si muovono tra missioni, amicizie e segreti. L’elemento simbolico è forte. I protagonisti agiscono insieme. La Resistenza diventa gioco serio, sogno condiviso. Il personaggio di Marta è centrale. Pacifista, dubbiosa, ma determinata. Vuole salvare il padre e il fratello. Dialoga con il nemico. Cresce. E si trasforma. Il tenente Klaus, figura ambigua, mostra che anche tra i tedeschi ci sono contraddizioni. E regala spunti di riflessione anche ai più giovani.

Entrambe le fiction parlano di bambini e guerra, ma lo fanno con registri diversi. La Storia è cronaca. Sandokan è metafora.

Fuochi d'artificio - Sandokan
Un frame di Fuochi d’artificio – Sandokan

Conclusione: due linguaggi per ricordare, emozionare e comprendere

Le fiction Rai hanno dimostrato ancora una volta la capacità di raccontare il passato con sensibilità e visione. “La Storia” resta una vetta drammatica, forse irripetibile. Ma “Fuochi d’Artificio – Sandokan” offre una lettura moderna, accessibile, coinvolgente. Chi ha vissuto il dolore riconosce in Ida una sorella. Chi sogna un futuro migliore si rispecchia in Marta e Davide. La memoria si tramanda così, tra epoche e generazioni.

In un’Italia che si interroga sulla propria identità, queste due fiction ci ricordano che la Resistenza non è un evento del passato. È una scelta quotidiana. Da raccontare.

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