Lucio Corsi? Un talento indiscutibile. Ma c’è chi, nel mondo della musica, non sopporta il modo in cui oggi viene celebrato.
Lucio Corsi, Sanremo e la riflessione tagliente dei Baustelle: serve la tv per accorgersi del talento?
Sanremo è finito da poco, ma il suo eco risuona ancora tra artisti e appassionati. A parlare stavolta è Francesco Bianconi, voce e mente del gruppo Baustelle, che ha scelto di non partecipare mai al Festival. L’occasione è un’intervista in cui commenta con lucidità – e una punta di amarezza – il panorama musicale attuale. Al centro delle sue riflessioni c’è Lucio Corsi, uno degli artisti più affascinanti e fuori dagli schemi della scena contemporanea, pronto all’Eurovvision.
Corsi, cantautore toscano dalla penna surreale e l’immaginario fiabesco, è recentemente salito alla ribalta per la sua presenza sempre più frequente nei radar della stampa mainstream. Il suo nome circola da anni tra gli amanti dell’indie e del glam-pop italiano, ma soltanto adesso – secondo Bianconi – sembra “che ci si sia accorti del suo valore”. E questo, a suo dire, è un segnale deprimente. Non per Lucio, che resta un artista straordinario, ma per il sistema che, ancora una volta, avrebbe bisogno di una vetrina come Sanremo per legittimare un talento.
Il frontman dei Baustelle non le manda a dire. Per lui, la gara canora più celebre d’Italia rappresenta una realtà che ha scelto consapevolmente di evitare: “È una gara in TV, e noi siamo contro le gare e contro la TV”. Una dichiarazione che mette in discussione l’intero meccanismo promozionale della musica italiana. Eppure, come nota con ironia, ci vuole Sanremo per mostrare a tutti che Lucio Corsi o Brunori Sas siano bravissimi. Come se la qualità di un artista dipendesse dalla sua esposizione televisiva.
Corsi ha calcato il palco dell’Ariston e così intorno a lui si è creato un alone di “prodigio alternativo”. Questo, per Bianconi, rappresenta un cortocircuito: “Io lo so da anni”, sottolinea, facendo intuire come Lucio Corsi sia sempre stato sotto gli occhi di chi ascolta con attenzione, al di là della vetrina televisiva.
Il paradosso è evidente: per essere riconosciuti oggi, spesso bisogna passare per il “sì” dell’Auditel. Sanremo, con i suoi milioni di spettatori, è diventato una tappa quasi obbligatoria per emergere. Eppure, i Baustelle – e con loro altri grandi esclusi – continuano a dimostrare che si può costruire una carriera solida e credibile anche rifiutando le logiche dell’esposizione forzata.

La consacrazione tardiva: quando l’indie diventa mainstream grazie (o per colpa) di Sanremo
Lucio Corsi non è un nome nuovo. Dal debutto con Altalena Boy a progetti visionari come Cosa faremo da grandi?, ha dimostrato un’identità musicale precisa e affascinante. I suoi testi, spesso intrisi di simbolismo, raccontano mondi onirici abitati da animali parlanti, astronavi e riferimenti letterari. Una poetica così forte e personale da guadagnarsi l’ammirazione di molti colleghi, compresi i Baustelle. Eppure, solo recentemente – con l’eco mediatica di Sanremo – è arrivata quella legittimazione popolare che gli mancava.
Il suo nome è diventato simbolo di una musica “diversa”, lontana dagli schemi tradizionali del pop da classifica. Ma se oggi in tanti lo scoprono per caso, per chi lo segue da tempo questa attenzione arriva tardi e un po’ forzata. Francesco Bianconi, nel suo intervento, non attacca Lucio Corsi, anzi: lo celebra. Ma al tempo stesso mette a nudo un sistema che sembra cieco fino a quando la TV non decide chi è bravo davvero. Lui stesso ha vissuto qualcosa di simile con i Baustelle, band seminale degli anni Duemila, capace di creare un linguaggio nuovo nella canzone italiana, senza mai piegarsi ai dettami del mainstream.
Negli anni, il legame tra Corsi e i Baustelle si è fatto sempre più stretto. Non solo per l’affinità estetica, ma anche per una visione comune del ruolo dell’artista. Entrambi rifiutano l’omologazione. Entrambi rivendicano una libertà creativa che non passa da talent, festival o viralità su TikTok. La loro musica è fatta di riferimenti colti, di ricerca, di suoni analogici. Ed è proprio questa “resistenza” a rendere ancora più evidente il contrasto con il meccanismo sanremese, dove a volte vince ciò che è più immediato, non ciò che è più profondo.
C’è poi un altro aspetto da non sottovalutare: il rischio che la “scoperta” di Lucio Corsi diventi una moda passeggera. L’artista toscano ha un’identità troppo definita per diventare solo una tendenza. Ma l’industria, si sa, tende a divorare anche ciò che inizialmente celebra. Ed è qui che il monito di Bianconi risuona più forte: non aspettiamo Sanremo per accorgerci del valore. Coltiviamo l’ascolto, la scoperta, la profondità.
Oggi, il nome di Lucio Corsi si affianca a quello di altri grandi outsider come Brunori Sas, anch’egli rivalutato dal pubblico generalista dopo anni di underground. Eppure, entrambi avevano già detto tutto prima che le telecamere puntassero su di loro. Questo, forse, è il vero tema sollevato da Bianconi: la pigrizia culturale che ci impedisce di vedere l’oro quando non brilla sotto i riflettori.
