
Lavorare con piacere alla Castiglioni
Testo di Achille Castiglioni
n.2 settembre/ottobre 2018
In occasione delle celebrazioni dedicate al centenario della nascita di Achille Castiglioni pubblichiamo per i nostri lettori il suo appassionato e travolgente intervento ad Aspen, in Colorado, per la International Design Conference, nel giugno del 1989. Attualmente la Triennale di Milano ha in corso un’importante mostra sul suo lavoro, curata da Patricia Urquiola e Federica Sala.
Ho lavorato con piacere. Ho progettato molto. Ho affrontato con interesse problemi delle più svariate tipologie, committenze molto diverse tra loro: ogni volta una nuova esperienza per realizzare un prodotto. Un prodotto che fosse capito, non importa se da pochi da tanti; non con l’ambizione di lasciare un segno, ma con la volontà di avere uno scambio anche piccolo con l’ignoto personaggio che userà l’oggetto da me progettato. In realtà, ogni nuovo tema di progettazione proposto ha avviato un nuovo processo di ricerca. Quindi tanto lavoro di ricerca. Processo che dovrebbe proseguire senza limiti di tempo e di cui l’oggetto prodotto è un momentaneo ‘stop’, una tappa più che una conclusione. Ovviamente, necessaria per le esigenze della committenza. Ma la ricerca di progetto ha anche la caratteristica di non essere un momento di isolamento, bensì uno sforzo comune di molte persone nell’ambito delle specifiche competenze di ognuno…Competenze di diverse discipline e interessi che trovano, nel risultato di progetto del designer, il momento di sintesi espressiva di un grande lavoro collettivo. Penso che la cosa più importante sia osservare continuamente, in modo critico, i comportamenti delle persone. In ogni atto progettuale bisogna poter riconoscere: una piccola intelligente sperimentazione; una corretta considerazione dei comportamenti individuali, che continuamente mutano, ma egualmente si ripetono; bisogna riconoscere anche amore e rispetto per tutte le scelte, per le azioni degli altri, giuste o sbagliate che ci appaiano, senza voler ad ogni costo tutto inquadrare, tutto catalogare, tutto giudicare con il metro della ‘tendenza’, del ‘tipo’, del ‘premio’, del ‘successo’. Nella carrellata di segni che sta passando, vorrei che ogni disegno oggi risultasse come progettato da persone differenti, perché la strada del progetto è sempre diversa, caso per caso; possibilmente, senza preconcetti di forma. Non esiste un modello unitario di design, ma deve esistere la forte volontà di produrre progetto. L’esperienza non dà certezza, né sicurezza, ma invece aumenta la possibilità di errore. Perciò più passa il tempo, più difficile diventa il progettare meglio! Occorre ogni volta ricominciare da capo, con umiltà, perché l’esperienza rischia di tramutarsi in ‘furbizia’. Il designer entra nel ‘progetto industriale’ con i suoi piccoli margini di libertà, per esprimere più larghi significati di ‘senso del proprio tempo’, capaci di dare, talvolta, valori di cultura anche a manifestazioni di gusto.
Le mie libertà soggettive sono di segno molto diverso da quelle dell’impresa che produce e vende: ma sono certo che queste mie libertà a loro fanno molto comodo. Io non so teorizzare il mio lavoro; lascio questo compito ad altri che vogliano occuparsene. Posso invece, insieme a voi, provare a leggere qualche prodotto realizzato su mio progetto: così cercheremo di rileggere criticamente insieme l’oggetto finito, facendo il percorso inverso della progettazione, così come si dovrebbe fare con le opere di architettura; non trovo possibile analizzare un oggetto prodotto o una architettura costruita solo attraverso le immagini disegnate o fotografate (queste molte volte imbrogliano). Possono avere solo il valore di un appunto di lavoro o di promemoria. Nel rileggere questi miei oggetti, cercherò di mettere in evidenza il rapporto di reciproca curiosità tra progettista e fruitore evidenziando questi parametri: il rapporto con la memoria; la ricerca espressiva; il rapporto con le tecniche. Il rapporto con la memoria si può riconoscere in diversi modi: memoria come componente principale di progettazione (il ricordo); memoria come recupero di oggetti e di funzioni, risolte con una attuazione tecnica o espressiva (redesign) o una ricomposizione in nuovi modelli oggettuali e comportamentali; memoria come allusione a comportamenti individuali o collettivi, ispiratori di nuovi progetti e oggetti. Il rapporto con la memoria dà il senso di continuità del progetto nella storia, dà il senso di consuetudine con gli oggetti. La ricerca espressiva non è un quoziente estetico, aggiunto al progetto, ma è il sistema di intenzioni che, in tutto l’arco della progettazione, si modificano, cercando di dare qualità di riconoscibilità ai comportamenti che ogni oggetto vorrebbe proporre. Nella definizione della forma espressiva, a volte prevale invece una suggestione temporale, ma sempre con l’obiettivo di far nascere un rapporto intellettivo-affettivo fra progettista, oggetto, utente. Si realizza, quindi, una forma espressiva prevalentemente di una funzione utilitaria o una forma espressiva di un modo di interpretare una qualità comportamentale. Il rapporto con le tecniche può essere bivalente: in qualche caso, ed è il modo più corretto di intenderlo, la ricerca progettuale mette in evidenza un gruppo di esigenze da soddisfare, di funzioni da svolgere ‘costringendo’ il progettista e il produttore a riconoscere ed utilizzare le tecniche più attuali ed appropriate, o addirittura ad iniziare una ricerca tecnologica col fine di risolvere i problemi posti dalle premesse progettuali. In altri casi, invece, la disponibilità di tecniche evolute nei più diversi settori spinge a considerare nuovi comportamenti, o modi di affrontare problemi funzionali, che si riconoscono possibili, proprio perché l’esistenza di tecnologie specifiche apre anche nuovi campi di ricerca. Fra tutte queste motivazioni o atteggiamenti del progetto, è possibile che ne risulti una scelta principale, che caratterizzerà il risultato formale espressivo, scelta da me spesso definita come ‘componente principale’ di progettazione.
Il testo qui riprodotto dell’intervento di Achille Castiglioni alla International Design Conference di Aspen, Colorado, 14-19 giugno 1989, è tratto da una minuta conservata presso l’Archivio Achille Castiglioni, Fondazione Castiglioni, Milano








