Francesco Di Leva travolge il pubblico in 40 secondi: un film che fa male, come la verità.
C’è un tempo che non lascia scampo. 40 secondi bastano per distruggere una vita, segnare una comunità, spaccare un silenzio che durava da troppo. Il nuovo film di Vincenzo Alfieri affonda in quei secondi di ferocia pura, ispirandosi alla tragica vicenda di Willy Monteiro Duarte, il giovane ucciso nel 2020 a Colleferro. Ma 40 secondi non è solo una cronaca. È un grido. È cinema che scuote, brucia e commuove.
In un racconto teso, vibrante e spietatamente umano, Francesco Di Leva si prende la scena con un ruolo che ha il peso della realtà: il maresciallo dei Carabinieri che arriva per primo sul luogo della tragedia. È lui che deve affrontare lo scenario più crudele, che raccoglie frammenti di verità tra grida, sangue e silenzi. Di Leva si carica sulle spalle la responsabilità di un personaggio che non può permettersi di crollare, ma che dentro è già spezzato. Non urla mai, ma ogni sguardo, ogni respiro dice tutto. È un’interpretazione che lascia il segno e che, ne siamo certi, farà piangere più di uno spettatore.
Francesco Di Leva e Francesco Gheghi: ancora insieme in 40 secondi dopo Familia
Accanto a lui, un sorprendente Francesco Gheghi, dopo il grande successo di Familia in cui interpretano padre e figlio. Il suo personaggio, ambiguo e scivoloso, è il punto di innesco. È il volto di quella rabbia cieca che monta senza senso, della tensione sociale che serpeggia tra le strade e le vite invisibili. Gheghi è lucido e spietato, e riesce a rendere umana anche la paura più codarda. Un lavoro d’attore raro, credibile, feroce. Ma 40 secondi è anche un film corale. La scelta di Alfieri di affidarsi a uno street casting per rappresentare la comunità capoverdiana romana non è solo una nota di realismo: è un gesto politico, un modo per dare voce a chi troppo spesso resta ai margini anche quando è al centro delle storie più dure.

Justin De Vivo, nei panni di Willy, regala una presenza fragile e luminosa, come lo era la vera vittima. Non serve che dica molto: basta guardarlo per capire. Il regista Vincenzo Alfieri evita ogni retorica. Non santifica Willy, non spettacolarizza il dolore. Racconta piuttosto un’Italia in frantumi, dove il maschilismo tossico, l’ignoranza e l’odio si annidano tra le pieghe del quotidiano. Dove una rissa per futili motivi può trasformarsi in una condanna a morte. Dove le scelte, o le omissioni dei singoli cambiano il corso delle vite. Uscirà il 20 novembre nelle sale italiane e c’è già chi scommette che sarà uno dei titoli più discussi dell’anno. Perché 40 secondi non si guarda con distacco. Si subisce. E poi si esce dalla sala con un peso nuovo nel cuore.
