Stasera in tv va in onda “Il ladro di bambini” di Gianni Amelio, uscito nel 1992. Alle 21:10 il capolavoro torna su Rai Storia. Ma perché si può definire tale?
Il film ottenne un trionfo internazionale: il Gran Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes, il Premio della giuria ecumenica, una nomination per la Palma d’oro, cinque David di Donatello, il Nastro d’Argento e il titolo di Miglior film agli European Film Awards. Ma più dei premi fu lo sguardo del pubblico a consacrarlo: uno sguardo che non poteva restare indifferente davanti a un’Italia ferita e a due bambini che cercano solo un luogo dove essere visti.
La storia prende forma da un tragico episodio reale, uno di quelli che finiscono nelle pagine di cronaca e poi svaniscono troppo in fretta. In una periferia milanese degli anni ’90, una madre porta la figlia undicenne Rosetta alla prostituzione. Dopo l’arresto della donna, Rosetta e il fratello minore Luciano, fragile e asmatico, vengono affidati ai servizi sociali. Devono essere trasferiti in un istituto a Civitavecchia da Antonio, giovane carabiniere calabrese interpretato da Enrico Lo Verso. Questo viaggio però cambierà tutti loro, per sempre.
Oltre alla prova magistrale di Enrico Lo Verso, il film deve molto ai due giovanissimi interpreti: Valentina Scalici nel ruolo di Rosetta e Giuseppe Ieracitano in quello di Luciano. Entrambi al debutto, entrambi capaci di una naturalezza che colpì i critici italiani e internazionali.
“Il ladro di bambini” fu salutato come un’opera necessaria. Vinse il Gran Premio Speciale della Giuria a Cannes, un riconoscimento che lo collocò immediatamente tra i film europei più importanti dell’inizio degli anni ’90. Ottenne anche il Premio della giuria ecumenica, cinque David, un Nastro d’Argento e un prestigioso riconoscimento agli European Film Awards, dove ricevette anche la nomination come miglior attore per Lo Verso.
Amelio costruì l’intero film come un omaggio rigoroso alla tradizione neorealista: cast misto di professionisti e non professionisti, ambienti reali, dialoghi spontanei. Il titolo richiama esplicitamente “Ladri di biciclette” di De Sica e, allo stesso tempo, si ancora a un fatto di cronaca che scosse la Milano dell’epoca. La critica definì la pellicola “un film sul Terzo Mondo italiano”, per la sua capacità di rivelare senza filtri le crepe sociali di un Paese che faticava a guardare i propri margini.
Il film segnò una svolta. Riportò al centro del cinema italiano le storie dei bambini, dei fragili, delle vittime dell’indifferenza istituzionale. Diede impulso a un nuovo sguardo realista che avrebbe influenzato non solo le opere successive di Amelio – come Lamerica e Così ridevano – ma anche quella che molti critici chiamarono “nuova onda” del cinema italiano. Registi italiani e internazionali trovarono in questo film una chiave nuova per raccontare l’infanzia violata e i legami che nascono nei luoghi più insospettabili. E ancora oggi, a oltre trent’anni dall’uscita, l’opera continua a essere indicata come un modello di rigore, empatia e necessità narrativa.
Stasera in tv, rivederlo significa attraversare di nuovo quell’Italia spaccata e luminosa, lasciarsi ferire per potersi lasciare guarire e ricordare che certi film, quando arrivano, non si limitano a raccontare: cambiano lo sguardo di chi li vede.
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