Non servono Oscar e grandi cifre per conquistare il pubblico di Netflix: vola in classifica un ‘piccolo’ titolo che sta scalando la classifica dei più visti di oggi.
Il mistero della famiglia Carman è su Netflix dal 19 novembre 2025 e in pochi giorni ha già conquistato la piattaforma. Un documentario true crime compatto, diretto da Yon Motskin, che con appena 80 minuti sta sbaragliando persino i kolossal più pubblicizzati e gli originali patinati nati per dominare la Top 10. Un caso realmente accaduto, una famiglia della ricca New England, una catena di eventi che da anni sfugge a ogni tentativo di ricostruzione logica: bastano questi elementi per spiegare perché gli utenti della piattaforma non riescono a staccarsene.
Il racconto parte dal 17 settembre 2016, data che nelle cronache statunitensi rimane un punto di svolta. Linda Carman e suo figlio Nathan, ventiduenne riservato e spesso percepito come difficile, salpano da Rhode Island per una semplice battuta di pesca. Una rotta breve, di routine. Sette giorni dopo, però, il mare restituisce solo Nathan, vivo su una zattera di salvataggio. Della madre nessun segno, nessuna traccia, nessun indizio utile. Una scomparsa che da subito appare carica di domande irrisolte. Pian piano la visione si snoda, diventando sempre più ad alta tensione.
La famiglia Carman infiamma Netflix: perché questo documentario cambierà il modo in cui guardi i true crime
La storia di Linda e Nathan, dunque, è l’inizio di un grande enigma. L’omicidio del nonno John Chakalos nel 2013, ucciso nella sua villa, non ha ancora trovato giustizia e verità. Gli investigatori all’epoca seguono varie piste, ma mai con prove e indizi fondati. In famiglia c’erano delle fratture, è evidente. Un’eredità da milioni di dollari, rancori mai superati e dinamiche simili, riportano a galla tutto con lucidità e profondo dolore. La struttura del film alterna voci diverse, poliziotti, avvocati, parenti, amici e costruisce un mosaico psicologico più che giudiziario. Yon Motskin evita scorciatoie sensazionalistiche. Non cerca scenografie artificiose, non forza emozioni: lascia spazio ai fatti, alle parole degli stessi protagonisti e a un contesto sociale importante, quello di una famiglia benestante della costa Est, improvvisamente esposta a un vortice mediatico.

Tra le principali ambiguità, sicuramente la posizione di Nathan Carman. C’è chi lo descrive come un giovane brillante, ma complesso: a segnarlo infatti, è una diagnosi di autismo. Altri invece, ricordano comportamenti distaccati, e a tratti difficili da interpretare. La famiglia dunque si spacca: potrebbe trattarsi di pregiudizio, o peggio ancora, di inganno. Tutto resta sospeso fino al 2022, quando arriva l’accusa formale per l’omicidio della madre e frode, legata all’eredità del nonno. Il vero finale di questa storia lascia un vuoto, che però il documentario non tenta in alcun modo di colmare o alterare con marchingegni artificiosi. Nathan si suicida poco prima dell’inizio del processo. Ogni domanda resta dunque aperta. L’America continua a indagare su uno dei casi più sconvolgenti. Netflix invece, sceglie questo racconto proprio per quella sospensione che accompagna ogni minuto
