L’ombra dei padri: il film dimenticato che RaiPlay regala a una nuova generazione.
Nascosto nella sezione dei grandi titoli di RaiPlay, c’è un film che pochi ricordano ma che ha segnato una frattura silenziosa nel nostro cinema. Si chiama L’altro enigma, e non è soltanto un titolo da riscoprire: è un’esperienza da attraversare, una lezione di eredità, sangue e linguaggio. È gratuito, accessibile a tutti, e oggi rappresenta una delle occasioni più rare per chi vuole scoprire il lato più oscuro e umano di Vittorio Gassmann, accanto a suo figlio Alessandro in una delle collaborazioni più intense e dolorose della loro carriera. RaiPlay lo ospita nella sezione dedicata ai grandi cult e, in un tempo in cui si parla di cinema veloce, scroll e serie da consumare in un weekend, offre un’opera che va guardata senza fretta.
L’altro enigma non cerca consenso, non cerca il like: scava, ferisce, mette in discussione. E lo fa con una forza che, più di trent’anni dopo, non ha perso un grammo del suo peso. Diretto nel 1988 da Vittorio Gassmann insieme a Carlo Tuzii, e tratto da Affabulazione di Pier Paolo Pasolini, il film si muove in una zona d’ombra tra teatro e psicologia, tra sogno e incubo. È la storia di un padre ossessionato dalla giovinezza del figlio, che tenta di distruggerla pur di non ammettere la propria decadenza. Dietro quella trama apparentemente intellettuale si nasconde un dramma universale: il tempo che scorre, il potere che si frantuma, l’amore che diventa controllo. Vittorio e Alessandro Gassmann portano in scena molto più di due ruoli. Portano un confronto generazionale vero, che brucia anche fuori dal set. La loro presenza insieme trasforma ogni scena in una confessione.
L’eredità di un gesto, una riscoperta su RaiPlay
Pasolini aveva scritto Affabulazione come una riflessione sul potere e sul desiderio. Gassmann lo trasforma in una parabola familiare, un urlo trattenuto tra padri che non sanno più come amare e figli che non sanno ancora come perdonare. La telecamera, ferma e teatrale, amplifica ogni sguardo, ogni respiro, ogni crepa del volto. È un’opera che appartiene a un’altra epoca, ma parla con la stessa lingua delle inquietudini di oggi: quella del bisogno di capire chi siamo attraverso chi ci ha generati. In un panorama in cui tutto viene ridotto a ritmo e leggerezza, L’altro enigma torna a chiedere silenzio e attenzione. È un film da salvare, non solo per il suo valore storico, ma perché ricorda cosa può essere la televisione quando decide di osare: arte, parola, rischio.

All’epoca della sua uscita, la critica accolse il film con rispetto e timore. Lo definì “troppo teatrale”, “difficile”, “lontano dal gusto popolare”. Aveva ragione, ma oggi quelle stesse caratteristiche sono la sua forza. In un catalogo digitale dove tutto tende a somigliarsi, L’altro enigma emerge come un corpo estraneo e prezioso. Guardarlo su RaiPlay oggi significa compiere un atto di curiosità e di memoria. È gratuito, sì, ma il suo valore non si misura in click. È un ponte tra generazioni: tra il padre che ha fatto grande il teatro italiano e il figlio che, davanti a lui, impara a reggere lo sguardo. Chi ama Pasolini troverà un adattamento colto, rigoroso, quasi sacrale. Chi non lo conosce, potrà entrare dalla porta dell’emozione, senza sentirsi escluso. E chi appartiene alla generazione digitale scoprirà che certi conflitti, come quello tra padri e figli, non hanno mai smesso di parlare.
Un film da tramandare
L’altro enigma è una rarità che oggi si può vedere liberamente, e questo lo rende ancora più necessario. È un film che non cede alle mode, che respira un’aria densa di teatro e poesia, e che ricorda a chi guarda quanto sia fragile il confine tra amore e distruzione. In un mondo che dimentica tutto in fretta, RaiPlay compie un piccolo gesto rivoluzionario: restituisce un tassello fondamentale della nostra memoria collettiva. Un film “da salvare”, perché dietro la sua durezza c’è la verità di un tempo in cui il cinema e la televisione cercavano ancora di capire l’anima umana.
