Tra pochi giorni scomparirà dal catalogoil film che fece ridere l’Italia e, allo stesso tempo, la mise davanti a sé stessa: “Tolo Tolo” sarà disponibile su Netflix solo fino al 14 novembre. Un’ultima occasione per riscoprire il debutto da regista di Checco Zalone (alias Luca Medici), diventato un vero fenomeno culturale.
La storia segue Checco, imprenditore pugliese travolto dai debiti dopo il fallimento del suo ristorante di sushi a Spinazzola. Per sfuggire ai creditori decide di partire per l’Africa, dove trova lavoro come cameriere in un villaggio turistico in Kenya. Sembra l’inizio di una nuova vita, ma una guerra civile distrugge tutto in poche ore. Checco si ritrova così a intraprendere un viaggio inverso, quello dei migranti, dal continente africano verso l’Europa.
Durante la fuga incontra Oumar, giovane intellettuale africano appassionato di cultura italiana, la dolce Idjaba e il piccolo Doudou, che diventa il simbolo della sua nuova coscienza. Attraverso situazioni surreali, incontri pericolosi e momenti di umanità autentica, il protagonista affronta le proprie contraddizioni. E scopre che spesso chi crede di scappare dai propri problemi finisce per trovarsi di fronte a quelli del mondo intero.
Zalone firma non solo la regia, ma anche la sceneggiatura — scritta insieme a Paolo Virzì. Nel cast spiccano Manda Touré nel ruolo di Idjaba, Souleymane Sylla come Oumar e Nassor Said Birya nei panni del piccolo Doudou. Tra gli attori italiani appaiono Giovanni D’Addario e Barbara Bouchet in ruoli secondari, ma incisivi. Il risultato è una commedia corale e viva, che mescola dialetti, culture e sguardi diversi.
“Tolo Tolo” non è solo un film comico: è una riflessione sul pregiudizio, sulla paura e sull’ironia come strumento di sopravvivenza. Con la sua leggerezza disarmante, Zalone riesce a parlare di immigrazione, crisi economica e disillusione senza rinunciare al sorriso. Un equilibrio raro nel panorama cinematografico italiano.
Uscito nelle sale il 1° gennaio 2020, il film fu un trionfo. In soli tre giorni incassò oltre 18 milioni di euro, conquistando il miglior debutto nella storia del cinema italiano. Distribuito in più di 1200 copie, divenne presto un caso mediatico e politico. Ai David di Donatello ottenne il premio per il Miglior Brano Originale (“Immigrato”) e il David dello Spettatore. Vinse anche il Golden Globe italiano come Miglior Commedia e ottenne diverse nomination ai Nastri d’Argento. Il pubblico lo premiò, la critica si divise: qualcuno lo accusò di banalizzare, altri di osare troppo. Col tempo, però, molti hanno riconosciuto che Zalone aveva anticipato un linguaggio nuovo per il cinema popolare.
Il titolo “Tolo Tolo” deriva da un’espressione nigeriana che significa “pigro” o “viziato”, un modo ironico per descrivere il protagonista. Gran parte delle riprese si svolsero tra Kenya, Malta e Marocco, con set difficili e un team multiculturale. Zalone ha raccontato di aver voluto mostrare l’Africa non come sfondo esotico, ma come luogo di incontri e sguardi reciproci. Il brano “Immigrato”, scritto e cantato da lui stesso, è diventato virale per la sua ironia tagliente e per la capacità di unire satira e musica d’autore. Un piccolo manifesto del film e, in un certo senso, della poetica di Zalone.
Oggi “Tolo Tolo” risuona più che mai. Le sue battute, le contraddizioni del protagonista e il viaggio simbolico che attraversa deserti e confini ci ricordano che l’ironia può essere una forma di verità. Nel mondo di oggi, dove le paure si moltiplicano, la sua leggerezza resta una bussola. Rivederlo su Netflix, prima che lasci la piattaforma il 14 novembre, è come riscoprire un film che avevamo sottovalutato. Un’opera che ci fece ridere di noi stessi e che, oggi, appare quasi profetica. Perché, come dimostra la storia di Checco, a volte l’ironia arriva dove la retorica non sa più arrivare. “Tolo Tolo” è più di una commedia: è uno specchio dell’Italia contemporanea. E perderlo ora sarebbe come smettere di guardarci in faccia proprio quando ne abbiamo più bisogno.
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