Il traduttore, su RaiPlay
C’è un film su RaiPlay che in pochi conoscono, eppure merita di essere riscoperto. Un’opera raffinata, misteriosa, proibita nel suo linguaggio emotivo e nelle relazioni che racconta. Si intitola “Il traduttore”, è uscito nel 2016, ed è un noir psicologico che porta la firma del regista Massimo Natale. Al centro, una donna tormentata e un giovane che s’insinua nella sua vita fino a capovolgerla. Una storia di segreti, desideri e manipolazioni che scava nella parte più fragile dell’animo umano.
La protagonista è Anna Ritter, interpretata da una magnetica Claudia Gerini. È una gallerista affermata, vedova da poco in circostanze mai chiarite. La figlia trova per caso un diario del padre scomparso, scritto in tedesco. Anna decide di farlo tradurre, per scoprire cosa le è stato nascosto. Il traduttore è Andrei, un giovane studente rumeno poliglotta interpretato da Kamil Kula.
Quella che nasce come una collaborazione diventa presto un rapporto ambiguo. Tra Anna e Andrei si intrecciano tensione, seduzione, diffidenza. Ma il giovane, affascinato dal potere che le parole gli danno, comincia a manipolare la traduzione. Ogni parola tradotta diventa una menzogna, ogni verità si trasforma in un inganno. Sul fondo, un tema universale: chi controlla il linguaggio, controlla la realtà.
Oltre a Gerini e Kula, il film vede nel cast Silvia Delfino nel ruolo della tutor universitaria e Anna Safroncik come poliziotta della questura. Accanto a loro, Marianna Januszewicz e Stefano Rossi in ruoli secondari ma intensi. La colonna sonora è firmata da Piotr Rogucki, mentre Massimiliano Lazzaretti ha vinto con questo film il Premio Colonne Sonore come miglior compositore italiano.
Le immagini di Paweł Dyllus, direttore della fotografia, avvolgono ogni scena in un’atmosfera sospesa tra verità e illusione. Colori freddi, luci taglienti, silenzi che pesano più dei dialoghi. “Il traduttore” è un film che non urla: sussurra il dolore, la menzogna e la voglia di comprendere.
All’uscita trovò estimatori nei festival, dove ottenne due premi e una candidatura. La critica lo definì un film “lucido, introspettivo e atipico per il panorama italiano”. Nonostante il suo passo discreto, lasciò un segno nel modo di raccontare le relazioni interculturali e la manipolazione della verità nel cinema italiano contemporaneo. È una coproduzione italo-polacca che affronta l’incontro tra mondi, lingue e sensibilità differenti. Un tema oggi più attuale che mai. La frase simbolo, “Non si mischiano i tovaglioli con gli strofinacci”, ritorna come un mantra. Non solo una metafora delle classi sociali o dell’identità culturale, ma un modo per dire che l’amore – e la verità – non sono mai neutri.
“Il traduttore” è un film che parla di potere, controllo, e dell’inganno delle parole. Ma lo fa con una grazia che solo il cinema europeo sa conservare. Claudia Gerini regala una delle sue interpretazioni più sottili e mature: un personaggio diviso tra fragilità e orgoglio. Kamil Kula è la sorpresa: uno sguardo innocente che si fa via via più oscuro.
Oggi che le piattaforme tendono a premiare l’azione e la velocità, RaiPlay restituisce spazio al silenzio e all’attesa. “Il traduttore” non cerca di piacere: ti costringe a guardare dentro te stesso.
È un film che non si dimentica, anche se il pubblico lo aveva dimenticato. In fondo, è proprio questa la sua forza: essere rimasto ai margini, eppure vivo. Come le verità nascoste nelle parole di un diario che non smette di farsi tradurre.
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