In attesa di Frankenstein: il film di Guillermo del Toro da (ri)vedere su Disney+ per capire la sua vera ossessione.
Manca pochissimo all’uscita su Netflix di Frankenstein di Guillermo del Toro, uno dei film più attesi del 2025. Un progetto inseguito per oltre vent’anni, finalmente compiuto, che promette di fondere la visione barocca del regista con la sensibilità tragica del romanzo di Mary Shelley. Ma per entrare davvero nel suo mondo fatto di bellezza e orrore, di corpi imperfetti e anime in cerca di redenzione, c’è un titolo che andrebbe (ri)scoperto su Disney+: La fiera delle illusioni – Nightmare Alley. Non è un caso. Se Frankenstein parla di un uomo che crea un mostro e finisce per diventarlo, La fiera delle illusioni racconta il contrario: un uomo “mostruoso” che si finge umano fino a perdersi nella propria maschera. Due facce della stessa ossessione: l’ambiguità del potere e la fragilità dell’anima.
In La fiera delle illusioni, Bradley Cooper interpreta Stanton Carlisle, un uomo che impara a leggere la mente del pubblico, o almeno a far credere di saperlo. Con l’aiuto di una psichiatra (una glaciale Cate Blanchett), costruisce uno spettacolo fatto di inganni, visioni e bugie che ipnotizzano l’America della Grande Depressione. È un film elegante e oscuro, dove ogni sorriso è un trucco di scena e ogni luce nasconde un’ombra. Del Toro racconta la magia come un atto di potere e il potere come la più grande delle illusioni. Niente mostri in carne e ossa, questa volta: il vero orrore è dentro le persone. Ed è proprio qui che La fiera delle illusioni diventa la chiave ideale per prepararsi a Frankenstein. Perché entrambi i film parlano di un confine sottile: quello tra creatore e vittima, tra chi inganna e chi viene ingannato.
Nel nuovo Frankenstein, Del Toro promette di ribaltare i ruoli classici: la Creatura non è un mostro, ma un essere sensibile che soffre la solitudine, interpretato da Jacob Elordi. Victor, invece, diventa il vero antagonista: un uomo divorato dalla superbia e dal rimorso. È la stessa dinamica che Del Toro aveva già esplorato nella Fiera delle illusioni, solo che lì la mostruosità era mascherata dal fascino e dal successo. Dai fantasmi de La spina del diavolo ai mostri romantici de La forma dell’acqua, fino all’artista truffatore di Nightmare Alley, Del Toro guarda sempre agli “altri” come a specchi della nostra umanità. In ogni suo film si respira la stessa tensione: quella tra la meraviglia e la menzogna, tra la bellezza e la paura.
Rivedere oggi La fiera delle illusioni significa anche entrare nel laboratorio interiore di Del Toro. Le sue inquadrature precise, le scenografie ipnotiche, la luce che scolpisce i volti come se fossero sculture gotiche: tutto prepara lo spettatore alla sensibilità visiva di Frankenstein. È un film che parla di colpa e desiderio, ma anche di fame di riconoscimento. Quella stessa fame che spinge Victor a creare la vita, e Stanton a manipolarla. In entrambi i casi, l’esito è lo stesso: la rovina. Con Frankenstein, Del Toro sembra chiudere un cerchio. Dalla “fiera” delle illusioni all’orrore della creazione, il regista messicano ci accompagna in un viaggio che non è mai solo estetico, ma profondamente umano. Chi guarderà La fiera delle illusioni prima dell’uscita di Frankenstein scoprirà molto più di un film noir impeccabile: troverà un preludio, un’eco, un battito dello stesso cuore mostruosamente fragile che anima tutta la sua filmografia.
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