“3 figlie d’arte a Sanremo”, Carlo Conti sotto accusa: perché gli italiani si sbagliano

Tre figlie d’arte e un mare di polemiche: ma il paragone con il Sanremo dell’89 non sta in piedi.

Per ora è soltanto un’indiscrezione, ma sta già infiammando il dibattito attorno al prossimo Festival di Sanremo. Aurora Ramazzotti, Jolanda Renga e Anna Lou Castoldi sarebbero state scelte da Carlo Conti per una serie di incontri esclusivi con i cantanti in gara, contenuti che dovrebbero andare in anteprima su RaiPlay. Un progetto che, sulla carta, sembra innocuo e perfettamente in linea con la strategia di avvicinamento al pubblico più giovane, ma che in rete ha subito scatenato un’ondata di polemiche. Molti utenti e addetti ai lavori hanno infatti sollevato dubbi sulla scelta di tre figlie d’arte, accusando la Rai di favorire nomi noti per nascita più che per merito.

L’etichetta di “raccomandate” è tornata in circolo, insieme ai soliti cliché sul “talento ereditato”. Eppure, basta guardare la notizia da un punto di vista meno emotivo per capire che le cose non stanno proprio così. A rincarare la dose, c’è chi ha tirato fuori un paragone che in queste ore fa discutere: Sanremo 1989, anno ricordato come uno dei più caotici della storia del Festival. In quella edizione, la conduzione fu affidata a quattro figli d’arte: Rosita Celentano, Paola Dominguín, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi in un esperimento che si rivelò un boomerang. Mancava una guida esperta, i tempi televisivi andarono in tilt, e il palco dell’Ariston divenne teatro di gaffe memorabili, fino a guadagnarsi l’etichetta di “edizione disastrosa”.

Il contesto, però, era completamente diverso: nel 1989 i quattro giovani avevano sulle spalle la conduzione integrale di una kermesse in diretta davanti a milioni di telespettatori, senza un vero conduttore di riferimento. Nel caso di oggi, invece, Carlo Conti resta il direttore artistico e volto centrale dell’intero progetto. L’idea di affidare ad Aurora, Jolanda e Anna Lou delle interviste su RaiPlay è un’operazione editoriale ben precisa: un contenuto collaterale, pensato per ampliare l’esperienza del Festival sul digitale, non per sostituire la conduzione ufficiale: nel video è tutto spiegato in maniera approfondita.

@giusyindiretta

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Non co-conduttrici con Carlo Conti, ma voci nuove dietro le quinte

È proprio qui che nasce l’equivoco. Non stiamo parlando di tre conduttrici sul palco dell’Ariston. Sono figure complementari, impegnate nel racconto del dietro le quinte, incontri con gli artisti e la costruzione di una narrazione parallela alla diretta. Un progetto che mira a parlare un linguaggio diverso, quello dei social e delle nuove piattaforme. Potrebbe funzionare proprio grazie alla familiarità e alla curiosità che questi volti suscitano nel pubblico più giovane. Ridurre tutto a un “caso di nepotismo” significa ignorare il contesto e la visione di un direttore artistico che da sempre conosce bene le dinamiche televisive. Carlo Conti non è nuovo a scelte coraggiose e calibrate: le sue edizioni del Festival sono tra le più seguite e ordinate degli ultimi vent’anni.

carlo conti
Renga, Castoldi e Ramazzotti nel mirino insieme a Conti

Forse sarebbe il caso di spostare lo sguardo. Al di là delle parentele, il vero segnale di questa scelta è la presenza di tre giovani donne. In modi diversi, rappresentano una nuova generazione di figure televisive. Ognuna ha un percorso, un carattere e una cifra personale. Aurora Ramazzotti ha già esperienza nella conduzione e nel racconto ironico dei social. Jolanda Renga si è distinta per la sua sensibilità e per l’impegno nel promuovere un’idea di autenticità lontana dai riflettori. Anna Lou Castoldi ha un profilo più artistico, legato alla musica e al mondo del cinema. Tre personalità diverse che. Se ben coordinate, potrebbero offrire una chiave di lettura inedita sul Festival. Non si tratta di eredità artistiche, ma prospettive contemporanee, fresche e perfettamente coerenti con la direzione che la Rai sta imprimendo al proprio linguaggio digitale.

L’eco delle polemiche

Lo strascico dal passato sul “ritorno dei figli d’arte” è inevitabile, ma spesso nasce da un fraintendimento di ruoli e intenzioni. Il paragone con l’edizione del 1989 non regge: allora si trattò di una conduzione improvvisata e disorganizzata, oggi di un progetto editoriale strutturato e parallelo. Piuttosto che evocare presagi di flop, sarebbe più utile chiedersi se la tv pubblica non stia finalmente provando a parlare anche a chi la guarda dallo smartphone. E in questo, forse, le tre figlie d’arte possono avere molto da dire.

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