Un film che ha fatto sussultare Cannes e che pochi hanno avuto il coraggio di affrontare fino in fondo: ora è su RaiPlay, pronto a risvegliare paure e meraviglia. “Crimes of the Future” è il ritorno di David Cronenberg al body horror, l’universo di carne e metallo che lo ha reso leggenda. E accanto a lui, una Kristen Stewart magnetica, glaciale, quasi febbrile: la nuova sacerdotessa dell’evoluzione umana.
Il film ci porta in un futuro che sembra lontano, ma è terribilmente vicino. L’umanità ha imparato a convivere con i disastri ambientali. I corpi mutano, si adattano, generano nuovi organi. È la Sindrome da Evoluzione Accelerata, una malattia o forse una profezia. Saul Tenser (Viggo Mortensen) è un artista di performance estreme. Sul suo corpo nascono organi inediti, e lui li offre al pubblico come opere d’arte. Caprice (Léa Seydoux), ex chirurga e amante, li rimuove in scena, con strumenti che sembrano venire da un incubo biomeccanico. La chirurgia diventa spettacolo, rituale, piacere. In questo si concentra tutto il delirio poetico di Cronenberg.
Attorno a loro si muove un mondo in decomposizione: uffici governativi che catalogano i nuovi organi, ribelli che venerano la mutazione come segno divino, e due funzionari che osservano tutto da vicino. Uno di loro è Timlin (Kristen Stewart), impiegata dell’Anagrafe Nazionale degli Organi, silenziosa, nervosa, ipnotica. È la voce di un desiderio represso che esplode nei gesti più piccoli.
Il trio Mortensen–Seydoux–Stewart è il cuore pulsante del film. Cronenberg li filma come statue viventi, fragili e potenti, immersi in un’umanità che non riconosce più se stessa. Kristen Stewart, dopo anni di ruoli indipendenti e sperimentali, trova qui una delle interpretazioni più radicali della sua carriera. Timlin non è solo una funzionaria: è un corpo che riscopre la fame del contatto, la curiosità del limite. Accanto a loro, Scott Speedman interpreta Lang Dotrice, guida di un gruppo che vede nella mutazione una nuova nascita per la specie. Don McKellar è Wippet, burocrate ossessionato dal controllo, mentre Welket Bungué dà corpo a un mondo ormai fuori equilibrio.
“Crimes of the Future” è stato presentato in concorso a Cannes 2022, accolto da sette minuti di applausi e da un pubblico diviso tra estasi e repulsione. La critica ne ha lodato la visione, ma il grande pubblico si è tenuto a distanza. Al botteghino ha incassato poco più di 4,5 milioni di dollari, un risultato modesto per un’opera da 35 milioni. Ma Cronenberg non cerca numeri: cerca reazioni, inquietudine, domande. Il film ha ottenuto tre candidature ai Saturn Awards (miglior film di fantascienza, colonna sonora di Howard Shore, trucco di Alexandra Anger e Monica Pavez). Su Rotten Tomatoes vanta l’80% di recensioni positive. Eppure, dopo Cannes, il silenzio. Nessuna grande distribuzione, nessun clamore. Solo il passaparola dei cinefili, che lo considerano oggi uno dei film più lucidi e visionari del regista canadese.
Cronenberg aveva immaginato “Crimes of the Future” vent’anni fa, ma solo durante la pandemia ha trovato il coraggio di girarlo. Le riprese, tra agosto e ottobre 2021, si sono svolte in Grecia, in ambienti sospesi tra rovina e rinascita. Il titolo riprende quello di un suo film del 1970, ma la storia è nuova, più cupa e filosofica. Un omaggio a se stesso e, insieme, una dichiarazione di poetica. Nel film, la tecnologia non è solo strumento, ma organismo. Le macchine respirano, tremano, quasi soffrono. E gli uomini si adattano a loro. È la visione estrema di Cronenberg: un futuro in cui non esiste più confine tra biologico e artificiale.
Oggi “Crimes of the Future” è considerato il punto di partenza di una nuova ondata di cinema “organico”. Ha influenzato opere recenti che esplorano il corpo come linguaggio — da Infinity Pool di Brandon Cronenberg a Titane di Julia Ducournau — e ha riaperto il dibattito su identità, evoluzione e desiderio. Ogni mutazione, nel film, è una forma di resistenza. Ogni ferita, un atto d’amore. Rivederlo oggi su RaiPlay non è solo un’occasione per scoprire un film dimenticato, ma per guardare dentro noi stessi. Cronenberg non mostra il futuro: lo svela. E, come sempre, lo fa attraverso la pelle.
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