Ci sono film che non si dimenticano, anche quando il pubblico li ha visti solo una volta: “Pasolini” di Abel Ferrara, con un Willem Dafoe magnetico e febbrile, è uno di questi e stasera in tv, in seconda serata torna su Rai Movie (ore 23:05) per ricordarci un ritratto che non spiega ma evoca, che non giudica ma ferisce.
Ferrara, regista americano trapiantato a Roma, sceglie di raccontare non la vita intera di Pier Paolo Pasolini, ma le sue ultime ventiquattro ore. Siamo a novembre del 1975: l’intellettuale ha appena terminato “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, scrive lettere, rilascia interviste, progetta nuove visioni. Attorno a lui si muovono amici, familiari, fantasmi. La morte incombe, ma non c’è nulla di spettacolare: solo la consapevolezza lucida di un addio imminente.
Willem Dafoe si immerge nel ruolo con una dedizione quasi ascetica. Non cerca la somiglianza fisica, ma l’anima. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni parola è intrisa di tensione poetica. È una delle interpretazioni più rischiose e intense della sua carriera. Ferrara lo dirige con un rigore che toglie il fiato, tra luci livide e silenzi che sembrano tagliare la pelle. Venezia, nel 2014, rimase senza fiato davanti a tanta maestria.
Il film segue Pasolini nelle sue ultime ore: i momenti privati con la madre Susanna (Adriana Asti), gli incontri con l’amico Ninetto Davoli (Riccardo Scamarcio) e con Laura Betti (Maria de Medeiros), la scrittura di “Petrolio”. Tutto si intreccia in un mosaico di sogni e realtà, dove il confine tra ciò che accade e ciò che Pasolini immagina si dissolve. Ferrara evita ogni ricostruzione didascalica. Non mostra il delitto come cronaca, ma come atto simbolico. L’Idroscalo di Ostia diventa un luogo metafisico, una soglia tra la vita e l’eternità. L’arte e la morte si abbracciano in un ultimo lampo di luce, violento e struggente.
Oltre a Dafoe, il film può contare su un cast di grande intensità: Riccardo Scamarcio restituisce un Ninetto Davoli malinconico e affettuoso, mentre Valerio Mastandrea è Nico Naldini, il cugino e confidente dell’artista. Adriana Asti commuove nel ruolo della madre, e Maria de Medeiros dà corpo e voce all’amica Laura Betti. Nel film compare anche lo stesso Ninetto Davoli, che interpreta un personaggio onirico, chiudendo un cerchio affettivo e simbolico con il vero Pasolini.
“Pasolini” fu presentato in concorso alla 71ª Mostra del Cinema di Venezia, dove ottenne lunghi applausi e candidature al Leone d’Oro e al Queer Lion Award. Passò poi al Toronto International Film Festival, diventando un piccolo caso di culto tra i cinefili. L’interpretazione di Dafoe venne celebrata dalla critica internazionale come una delle sue prove più complesse e spirituali. Girato in parte negli stessi luoghi reali frequentati da Pasolini, il film alterna italiano, inglese e francese, restituendo la dimensione cosmopolita dell’artista. Ogni inquadratura sembra una preghiera laica, un requiem per un tempo che non tornerà più.
“Pasolini” ha influenzato molte biografie cinematografiche successive, spingendo i registi a osare, a scegliere la via del simbolo e del frammento. Ferrara ha firmato un film anti-classico e profondamente personale, dove il racconto diventa visione e la verità non è nei fatti, ma nel sentimento. Rivederlo oggi, a distanza di dieci anni, significa confrontarsi con una domanda che non smette di bruciare: cosa significa essere liberi, quando la libertà spaventa tutti? Stasera in tv su Rai Movie, Willem Dafoe ci restituisce quella libertà con uno sguardo che non si dimentica. Visionario, controverso, travolgente. Esattamente come l’uomo che ha scelto di incarnare.
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