Mio padre, il killer BTK: il documentario Netflix che sconvolge e conquista gli spettatori.
Tra le proposte più discusse del catalogo Netflix, Mio padre, il killer BTK si è trasformato in un fenomeno globale. Non è solo un documentario true crime: è una discesa profonda nella mente di un assassino e, soprattutto, nel cuore spezzato di una figlia che ha dovuto ricostruire la propria identità dopo aver scoperto l’impensabile. Diretto da Skye Borgman, già nota per i suoi lavori su casi di cronaca reale, il film ha raggiunto numeri impressionanti, entrando tra i titoli più visti sulla piattaforma a livello mondiale. La protagonista, Kerri Rawson, racconta in prima persona il momento in cui la sua vita si è frantumata: il giorno in cui ha scoperto che suo padre, l’uomo che la portava a scuola e pregava con lei ogni sera, era in realtà Dennis Rader, il famigerato BTK Killer, acronimo di Bind, Torture, Kill.
Un nome che evoca orrore per i dieci omicidi commessi tra il 1974 e il 1991. Ma il documentario non indugia nel macabro. Borgman costruisce una narrazione intima e potente, fatta di archivi, lettere, fotografie di famiglia e confessioni sincere. Kerri, oggi scrittrice e attivista, parla con una calma che disarma: la sua voce è quella di chi ha trasformato il dolore in consapevolezza. Guardarlo significa immergersi in un percorso emotivo dove la paura lascia spazio alla resilienza.
Il successo di Mio padre, il killer BTK su Netflix non nasce solo dalla curiosità morbosa per un caso di cronaca nera, ma dalla capacità di raccontare l’orrore invisibile: quello che si nasconde dietro le mura domestiche, quello che cambia per sempre la percezione della realtà. Il pubblico ha reagito con stupore e rispetto, lodando il tono sobrio, la sensibilità del racconto e l’assenza di sensazionalismo. La critica ha sottolineato come Borgman riesca a mantenere una tensione costante pur senza mostrare mai violenza esplicita. Ogni minuto del film è attraversato da una domanda scomoda: quanto conosciamo davvero le persone che amiamo?
Kerri Rawson, con il suo racconto diretto e vulnerabile, diventa il simbolo delle vittime invisibili, quelle che sopravvivono ai mostri ma ne portano il peso per tutta la vita. La sua decisione di collaborare con l’FBI e sostenere altre famiglie colpite da tragedie simili la rende un esempio di coraggio raro. Mio padre, il killer BTK non è un documentario da guardare distrattamente. È un film che costringe a fermarsi, a riflettere, a confrontarsi con il lato oscuro dell’essere umano e con la complessità dell’amore familiare. Netflix ha trovato in questo titolo un equilibrio perfetto tra dramma psicologico e indagine reale, offrendo una storia che scuote ma illumina. Chi lo ha visto racconta di non riuscire a distogliere lo sguardo, nonostante il disagio che provoca. Ed è proprio questo il segreto del suo successo: riesce a turbare senza mai scadere nel sensazionalismo, restando ancorato alla verità e all’umanità.
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