Ci sono film che non si limitano a raccontare la storia, ma la restituiscono alla vita: stasera in tv su Iris alle 21:14 arriva “Sobibor – La grande fuga”, il dramma diretto e interpretato da Konstantin Khabenskiy che ha emozionato il mondo intero. Basato su fatti realmente accaduti, racconta l’unica rivolta riuscita in un campo di sterminio nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Una storia di resistenza, speranza e dignità che continua a commuovere a distanza di ottant’anni.
Il film prende il nome dal campo di Sobibor, in Polonia, costruito per eliminare migliaia di ebrei con precisione meccanica. Lì, nell’ottobre del 1943, un ufficiale sovietico prigioniero, Aleksandr Pečerskij, decide di ribellarsi. Organizza con coraggio una fuga di massa che cambierà per sempre la percezione della memoria dell’Olocausto. Non è solo un gesto di sopravvivenza, ma un atto di libertà in mezzo all’inferno. E da questo atto nasce il cuore pulsante del film.
Konstantin Khabenskiy, già volto amato del cinema russo, si mette alla prova come regista e protagonista, firmando un’opera tesa e intensa. La sua interpretazione è asciutta, dolorosa, umana. Accanto a lui, un cast internazionale di spessore: Christopher Lambert nel ruolo del crudele comandante Karl Frenzel, Felice Jankell come Luca, Gela Meskhi nei panni di Semen Rosenfeld e Michalina Olszańska in quello di Hanna. Ogni personaggio diventa simbolo di chi, anche nel buio più profondo, sceglie di non arrendersi.
La narrazione di “Sobibor – La grande fuga” è tesa come un filo che rischia di spezzarsi. Non ci sono pause o comfort visivi: solo la cruda rappresentazione della paura e della speranza. Khabenskiy costruisce ogni scena con rispetto e precisione, evitando la retorica e affidandosi alla potenza delle immagini. I campi immersi nel fango, le sbarre di ferro, il silenzio che precede la rivolta: ogni dettaglio restituisce verità. Quando la fuga prende forma, il ritmo accelera e lo spettatore si trova immerso nell’angoscia dei protagonisti. È cinema che pulsa di vita, che obbliga a ricordare e a guardare dentro di sé.
La rivolta di Sobibor non fu soltanto un episodio militare, ma un atto morale. Più di trecento prigionieri riuscirono a evadere, dodici ufficiali delle SS furono uccisi. Solo una cinquantina sopravvisse, ma il messaggio che lasciarono al mondo resta incancellabile: anche quando tutto sembra perduto, la dignità può sopravvivere. Il film lo racconta senza eroi, con uomini e donne comuni che scelgono di rischiare la vita per un’idea di libertà. È questo che lo rende un capolavoro di umanità, non solo di cinema.
Presentato nel 2018, “Sobibor – La grande fuga” ha ricevuto standing ovation in Russia, Polonia e nei principali festival dedicati alla memoria dell’Olocausto. Pur senza grandi premi internazionali, è diventato un riferimento per il cinema storico contemporaneo. Critici e studiosi lo considerano una pellicola necessaria, perché restituisce centralità alla parola “resistenza”. Molte scuole e istituti lo usano oggi come supporto educativo, accanto a classici come “Schindler’s List” di Steven Spielberg e “Il pianista” di Roman Polański. È un film che insegna senza predicare, che emoziona senza manipolare.
La fotografia fredda, i suoni metallici, le pause che pesano come pietre: tutto concorre a creare un’esperienza immersiva. Non c’è spettacolo nel dolore, ma rispetto. Il regista russo riesce a bilanciare crudeltà e speranza, lasciando allo spettatore la libertà di sentire. Il risultato è un cinema che resiste al tempo e che invita a ricordare, proprio mentre la memoria collettiva tende a sbiadire. In un’epoca di distrazione e velocità, Sobibor chiede attenzione e silenzio.
Guardarlo oggi, in prima serata, significa accettare di confrontarsi con la parte più fragile e luminosa dell’animo umano. Significa riconoscere che la storia non è solo passato, ma scelta quotidiana. In ogni inquadratura c’è un messaggio di resistenza, in ogni volto la prova che la libertà è un bene che si difende con il coraggio. Non serve conoscere ogni dettaglio della guerra per lasciarsi toccare: basta aprire gli occhi e ascoltare. È un film che attraversa lo spettatore, che resta dentro come una ferita e come una speranza. “Sobibor – La grande fuga” non consola, ma illumina. È cinema che commuove, scuote e insegna. E proprio per questo merita di essere visto, stasera in tv su Iris. Perché ricordare non è mai solo un gesto del passato, ma un atto di umanità nel presente.
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