Il ritorno che nessuno si aspettava: dopo otto anni di silenzio, Kathryn Bigelow torna dietro la macchina da presa con A House of Dynamite, il film d’autore più discusso dell’anno che arriva oggi su Netflix. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, ha diviso la critica e infiammato il pubblico. È ora pronto a trascinare gli spettatori della piattaforma streaming in un vortice di tensione e inquietudine. Un’esperienza che non lascia scampo, dove ogni respiro pesa come una decisione irreversibile.
Il film si apre con un segnale d’allarme: le basi radar americane intercettano un missile nucleare diretto verso il cuore del Midwest. Nessuno ne rivendica la paternità, nessuno sa se sia un errore o un attacco reale. Restano diciannove minuti prima dell’impatto. In quel tempo sospeso, il mondo si ferma e la macchina del potere entra in crisi.
A House of Dynamite segue tre prospettive: Olivia Walker (una straordinaria Rebecca Ferguson), dirigente nella Situation Room della Casa Bianca; Jake Baerington (Gabriel Basso), giovane consigliere per la sicurezza nazionale, e il Presidente degli Stati Uniti interpretato da Idris Elba. Tra bunker, sale di comando e telefoni che non smettono di squillare, Bigelow costruisce una tensione costante, fatta di silenzi e sguardi, più che di esplosioni.
Non è un film d’azione. È un film sull’attesa, sul peso delle scelte, sulla paura di decidere. Ogni personaggio diventa un frammento del sistema: lucido, fragile, spaventato. Il vero nemico non è visibile. È la struttura stessa del potere, quella che collassa nel momento in cui dovrebbe proteggere.
Bigelow sceglie un cast corale ma compatto. Idris Elba è monumentale nel rendere la solitudine del comando. Rebecca Ferguson commuove per il realismo con cui restituisce la tensione di chi tiene in mano, letteralmente, la fine del mondo. Gabriel Basso è la sorpresa del film: fragile e determinato, incarna la generazione che eredita il caos dei padri. Accanto a loro, Jared Harris, Tracy Letts, Anthony Ramos, Moses Ingram, Jonah Hauer-King, Greta Lee e Jason Clarke danno corpo a un affresco politico e umano che alterna lucidità e panico. Nessun eroe, nessuna certezza. Solo uomini e donne di fronte all’irreparabile.
Alla sua anteprima veneziana, il film ha raccolto minuti di applausi e qualche fischio. C’è chi lo ha definito un capolavoro glaciale e chi un esperimento claustrofobico. Ma tutti concordano su una cosa: A House of Dynamite è cinema puro, capace di scuotere senza bisogno di effetti speciali. Girato interamente negli Stati Uniti, tra Trenton (New Jersey) e set sotterranei ricostruiti digitalmente, il film è stato completato in tempi record: meno di tre mesi di lavorazione. La sceneggiatura è firmata da Noah Oppenheim, già autore di Jackie, mentre Bigelow ha curato personalmente il montaggio per restituire un senso di compressione temporale quasi insostenibile.
Il titolo, “A House of Dynamite”, arriva da una nota frase di un ex analista della Guerra Fredda, che descriveva così la fragilità dei protocolli di difesa nucleare. Bigelow ha dichiarato di essersi ispirata alle esercitazioni “duck and cover” che ricordava da bambina, e al clima di paranoia collettiva tornato a serpeggiare nel mondo moderno. Nel film, la regista evita qualsiasi riferimento diretto a un nemico identificabile: non esiste un colpevole, solo un sistema che implode. Una scelta che trasforma l’opera in un thriller psicologico e politico insieme, in cui la paura diventa il linguaggio universale.
Dopo l’uscita limitata nelle sale e la candidatura al Leone d’Oro, A House of Dynamite viene già citato come pietra miliare del cinema contemporaneo. Molti registi ne hanno elogiato la struttura “procedurale”, che concentra tutta la narrazione in un tempo reale di diciannove minuti. Un esperimento che riscrive le regole del thriller politico, restituendo al genere il peso dell’angoscia e la forza della responsabilità umana. Da oggi su Netflix, il film di Kathryn Bigelow è un viaggio nell’abisso della mente e del potere. Un racconto che non cerca la catastrofe, ma la verità nascosta dietro ogni ordine, dietro ogni esitazione. Un’opera che lascia sospesi, come in un silenzio radio. E quando scorrono i titoli di coda, resta solo una certezza: è impossibile distogliere lo sguardo.
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