Due epoche Rai, due modi di raccontare la famiglia: da una parte La ricetta della felicità, la fiction con Cristiana Capotondi e Lucia Mascino che ha provato a rinnovare il genere, dall’altra Una grande famiglia, il classico senza tempo con Stefania Sandrelli, Alessandro Gassmann e Sonia Bergamasco. Guardandole oggi una dopo l’altra, la differenza appare netta. Non solo nel ritmo, ma nel cuore.
La ricetta della felicità è arrivata su Rai 1 come una ventata di ottimismo. Marta Rampini, interpretata da Capotondi, perde tutto e ricomincia in un paesino dell’Emilia Romagna. Accanto a lei, la schietta Susanna di Lucia Mascino, la suocera interpretata da Valeria Fabrizi, e un’umanità vivace fatta di volti noti come Eugenio Franceschini e Andrea Roncato. Sullo sfondo, una Riviera solare che promette rinascita e leggerezza.
Eppure, qualcosa non scatta. La fiction Rai diretta da Francesco Miccichè vuole parlare di forza femminile e quotidianità, ma resta prigioniera della sua formula. La trama un po’ lineare e la scrittura in alcuni punti prevedibile tolgono profondità ai personaggi. Tutto è grazioso, ma raramente sorprende. È come un dolce ben impiattato che però non lascia il sapore deciso che ci si aspettava.
Il paragone con Una grande famiglia viene naturale. Quella serie del 2012, ideata da Ivan Cotroneo, Stefano Bises e Monica Rametta, aveva un respiro diverso: un intreccio corale, cinque fratelli, segreti, amori, tradimenti e un mistero che legava tutto. Lo spettatore non solo guardava, ma viveva con i Rengoni. Sentiva la tensione, la paura, la speranza di un’Italia che cercava ancora di tenersi insieme.
La differenza è nell’anima, non nei mezzi. Una grande famiglia non temeva la complessità. Alternava dialoghi lenti e intensi a momenti di pura emozione. Ogni episodio lasciava qualcosa da portarsi dietro. Ogni personaggio, da Eleonora (Sandrelli) a Raoul (Giorgio Marchesi), era costruito con tridimensionalità, con difetti e contraddizioni. La ricetta della felicità invece sceglie la sicurezza: nessun vero conflitto, nessuna oscurità totale. Tutto si risolve, tutto si perdona. È una scelta voluta, ma anche il suo limite più evidente. Lo spettatore di oggi, abituato alla densità narrativa di Imma Tataranni o Blanca, si accorge subito della differenza. Mancano il rischio, la ferita, la verità che spinge ad andare avanti puntata dopo puntata.
Dieci anni fa, Una grande famiglia rappresentava la Rai che osava. Era una fiction popolare ma autoriale, capace di unire le generazioni. Aveva la forza del romanzo e la tensione del mistero. Oggi, La ricetta della felicità punta alla consolazione, a un pubblico che cerca conforto più che dramma. È una Rai più gentile, ma anche più prudente. Non è un male. Capotondi e Mascino sono straordinarie nel rendere la vulnerabilità femminile senza stereotipi. La loro amicizia è credibile, calda, sincera. Tuttavia, manca l’urgenza narrativa che trasformava la quotidianità in racconto universale. Dove Una grande famiglia scavava, La ricetta della felicità accarezza.
Il risultato è una fiction che intrattiene ma non resta. Piace, ma non lascia il segno. Forse perché, per emozionare davvero, non basta raccontare la rinascita: bisogna mostrare la caduta più viscerale. E questo La ricetta della felicità lo evita, per scelta o per timore di ferire. La Rai di oggi sembra voler proteggere il pubblico, mentre quella di ieri lo sfidava. È la stessa distanza che separa una storia da un’esperienza. La prima si guarda, la seconda si vive.
Guardando oggi Una grande famiglia su RaiPlay, si percepisce una forza che manca nelle nuove produzioni. Quella capacità di fare sentire parte di qualcosa di più grande. Di raccontare l’Italia reale, tra conflitti, tenerezza e imperfezioni. È un’eredità che La ricetta della felicità vorrebbe raccogliere, ma che ancora non riesce a portare nel presente.
Forse, però, il suo compito è un altro: ricordarci che anche la semplicità ha valore. Che si può parlare di cadute e rinascite senza colpi di scena, ma con sincerità. E in questo, nonostante i limiti, Capotondi e Mascino riescono a salvare la serie con la loro autenticità. Due donne vere, due attrici che illuminano anche la storia più fragile. Il confronto con Una grande famiglia sembra quasi necessario. Serve per capire come è cambiata la Rai, e forse anche noi. Perché oggi, tra comfort e leggerezza, rischiamo di dimenticare quanto ci manchi un racconto che faccia male, ma resti dentro.
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