Ci sono film che non appartengono solo alla storia del cinema, ma alla memoria collettiva di un Paese intero: Mississippi Burning – Le radici dell’odio, diretto da Alan Parker e in onda stasera in tv, è uno di questi. Una pellicola che riprende una storia vera sconvolgente, trasformandola in un thriller investigativo dal respiro epico. E oggi torna in prima serata, occasione unica per rivedere un’opera che ha ottenuto sette nomination agli Oscar e che ancora oggi vibra di attualità.
Il film ci porta nel cuore del Mississippi degli anni Sessanta, quando la segregazione razziale era legge non scritta e il terrore del Ku Klux Klan dominava città e istituzioni. A dare corpo a questa tragedia americana è soprattutto la recitazione di Gene Hackman, premiato a Berlino con l’Orso d’argento e indimenticabile nella parte dell’agente dell’FBI Rupert Anderson.
La vicenda si apre con la scomparsa di tre giovani attivisti per i diritti civili, impegnati ad aiutare gli afroamericani a registrarsi per votare. Da quel momento inizia un’inchiesta che diventa un incubo. L’FBI invia sul posto due agenti agli antipodi: Rupert Anderson, ex sceriffo di provincia, più pragmatico e istintivo, e Alan Ward, giovane, idealista e rispettoso delle regole, interpretato da Willem Dafoe. Due personalità in conflitto, costrette a collaborare in un contesto dominato dall’omertà e dal terrore. La tensione cresce scena dopo scena. La comunità bianca nasconde la verità, la comunità afroamericana tace per paura, mentre la violenza del Ku Klux Klan diventa sempre più brutale. Decisiva sarà la figura di Mrs. Pell, interpretata da una straordinaria Frances McDormand, che con il suo coraggio pagherà un prezzo altissimo pur di far emergere i fatti.
Oltre a Hackman, Dafoe e McDormand, il film può contare su un cast di altissimo livello. Brad Dourif è l’ambiguo vice sceriffo Pell, R. Lee Ermey veste i panni del sindaco Tilman, Gailard Sartain è lo sceriffo Stuckey, mentre Stephen Tobolowsky e Michael Rooker completano il quadro con interpretazioni memorabili. Una coralità che rafforza la potenza drammatica di ogni sequenza.
Alla sua uscita, nel 1988, Mississippi Burning fece discutere e commosse il mondo intero. Agli Oscar del 1989 ottenne sette nomination, vincendo la statuetta per la Miglior Fotografia grazie al lavoro di Peter Biziou. Il film ricevette inoltre cinque nomination ai BAFTA, quattro ai Golden Globe e un Orso d’argento a Hackman al Festival di Berlino. La critica ne esaltò la forza civile e la capacità di raccontare il razzismo con un linguaggio cinematografico di straordinaria efficacia.
Il titolo del film riprende il nome dell’operazione lanciata dall’FBI per ritrovare i tre attivisti scomparsi: “Mississippi Burning”. Nella realtà, le condanne inflitte ai responsabili furono molto più lievi di quelle mostrate nel film, dettaglio che sottolinea ancora di più l’ingiustizia del tempo. Le vittime erano i giovani James Earl Chaney, Andrew Goodman e Michael Schwerner, diventati simbolo della lotta per i diritti civili. Alan Parker, già autore di capolavori come Fame e Evita, costruì un racconto che fonde tensione thriller e impegno politico. Il risultato è un’opera che tiene incollati allo schermo, pur lasciando un senso di rabbia e impotenza per ciò che realmente accadde.
Mississippi Burning ha aperto una strada nuova al cinema impegnato americano. Il suo mix tra inchiesta poliziesca e ricostruzione storica ha influenzato molti film successivi, da Amistad a Selma, fino a The Help. Tutti hanno ereditato la capacità di intrecciare narrazione, denuncia e dramma personale, portando avanti un discorso che resta ancora oggi necessario. Rivederlo oggi non significa solo rivivere una pagina di grande cinema, ma confrontarsi con un tema purtroppo ancora attuale: il razzismo, nelle sue forme più visibili e in quelle più sottili. Un film che scuote, che indigna, ma che soprattutto invita a non dimenticare.
Stasera in tv Mississippi Burning – Le radici dell’odio non è soltanto un film: è un viaggio nella coscienza di un Paese e, allo stesso tempo, uno specchio per lo spettatore di oggi. L’intensità di Hackman, la regia di Parker e la forza della storia vera lo rendono un appuntamento imperdibile per chi ama il grande cinema americano. Un Oscar giusto, un capolavoro immortale, una lezione di memoria e coraggio.
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