Ci sono film che non si limitano a raccontare una storia: la trascinano, la scuotono, la trasformano in qualcosa di nuovo, ed è quello che accadde con Revenge, thriller del 2017 diretto da Coralie Fargeat, stasera in tv su Cielo alle 21.20. Un titolo che ha fatto parlare critici e spettatori, applaudito al Toronto International Film Festival e diventato simbolo di una rivoluzione di sguardo dentro il genere più controverso di sempre: il revenge movie.
La protagonista è l’italiana Matilda Anna Ingrid Lutz, attrice milanese che ha saputo conquistare la scena internazionale. Con il ruolo di Jen ha costruito una performance fisica, emotiva e memorabile. Accanto a lei ci sono Kevin Janssens, Vincent Colombe, Guillaume Bouchède e Jean-Louis Tribes. Ma il cuore pulsante resta la regista: Coralie Fargeat, capace di mettere in discussione codici maschili e voyeuristici e di riscriverli con un’energia visiva senza compromessi. In un panorama in cui la violenza rischiava di diventare routine, Revenge mostrò che si poteva cambiare prospettiva. Non più la vittima osservata dall’occhio crudele, ma la donna che sopravvive, reagisce e prende possesso dello spazio scenico. È qui che il film “rivoluzionò tutto”.
Jen parte per un weekend con il suo amante Richard in una villa lussuosa nel deserto. L’atmosfera di gioco e seduzione si incrina quando due amici di lui, Stan e Dimitri, arrivano prima del previsto. Quello che sembrava un incontro di caccia diventa un incubo. Jen subisce una violenza e, anziché difenderla, Richard sceglie di proteggere i suoi amici. In tre decidono di eliminarla e di cancellarne le tracce. Ma Jen non muore. Si rialza, sanguinante, ferita, rabbiosa. E il deserto si trasforma in un’arena di vendetta.
Il film non indulge nei sentimentalismi. Ogni ferita è mostrata, ogni respiro è una sfida. La protagonista non è più solo una ragazza in pericolo. Diventa una guerriera. È un percorso di rinascita che richiama figure iconiche dell’action come Mad Max e l’archetipo del sopravvissuto alla Rambo. La cinepresa non la abbandona: la segue, la accompagna, la trasforma in simbolo.
La forza di Revenge non sta solo nella regia. Sta nella presenza di Matilda Lutz, intensa e magnetica. Sta nell’ambiguità di Richard, interpretato da Kevin Janssens. Sta nella brutalità di Stan e nella codardia di Dimitri. È un microcosmo di mascolinità tossica messa a nudo, destinata a soccombere.
Il film venne presentato al Toronto International Film Festival nella sezione Midnight Madness, la vetrina perfetta per i titoli che non temono di spingersi oltre. La critica internazionale lo accolse con entusiasmo: regia visionaria, estetica curata, violenza espressiva. E, soprattutto, una protagonista che ribaltava decenni di rappresentazioni passive.
Curiosità dal set? Il sangue finto non bastava mai. Se ne consumavano litri su litri, al punto che le scorte dovevano essere rifornite quotidianamente. La trasformazione di Jen, tra ferite, sabbia e colori saturi, fu talmente intensa da essere paragonata a un rito tribale. Alcuni critici hanno letto nelle sue inquadrature citazioni di exploitation anni Settanta, soprattutto I Spit on Your Grave, ma rielaborate in chiave ironica e femminista.
Revenge ha segnato una svolta. Ha rilanciato il sottogenere rape & revenge, spostandolo dal voyeurismo maschile all’empowerment femminile. Non più il piacere di guardare la violenza, ma la catarsi di sopravvivere alla violenza. Una rivoluzione che ha ispirato registe e sceneggiatrici in tutta Europa e oltre. Dopo Revenge, altri film hanno seguito il percorso, provando a immaginare donne protagoniste non come vittime ma come soggetti attivi, capaci di riscrivere le regole del gioco.
Il merito di Coralie Fargeat è aver mostrato che l’horror e l’action possono essere strumenti per parlare di genere, di potere e di corpi. Non è un caso se oggi, a distanza di anni, Revenge continua a essere citato nelle discussioni sul cinema indipendente europeo e sulle nuove forme di rappresentazione femminile.
Guardare Revenge stasera significa tornare a quel momento in cui il cinema decise di cambiare passo. Significa riscoprire Matilda Lutz in un ruolo che ha segnato la sua carriera internazionale. Significa capire perché Toronto si inchinò e perché la critica decise di amarlo. Un film che non lascia indifferenti. Che ferisce, scuote, e poi libera. Non è solo intrattenimento. È un atto di forza. È la prova che anche il cinema di genere può parlare con voce nuova e rivoluzionaria. Appuntamento su Cielo alle 21.20. Ma attenzione: la visione è intensa, cruda, vietata a chi cerca leggerezza. È cinema che pulsa. E che, davvero, rivoluzionò tutto.
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