Prima del Leone d’Oro a Venezia, Cate Blanchett ci aveva già insegnato cosa significa osare.
Cate Blanchett è tornata protagonista assoluta alla Mostra del Cinema di Venezia 2025 con Father Mother Sister Brother di Jim Jarmusch, film Leone d’Oro che l’ha consacrata ancora una volta come attrice fuori dall’ordinario. Eppure, prima di questo trionfo corale accanto a Tom Waits, Adam Driver e Charlotte Rampling, Blanchett aveva già lasciato un segno indelebile con un progetto sperimentale diventato cult: Manifesto. Oggi è disponibile a noleggio su Prime Video, occasione perfetta per scoprire (o riscoprire) la performance più radicale della sua carriera. Diretto da Julian Rosefeldt, Manifesto nasce come video-installazione d’arte contemporanea per poi approdare al cinema nel 2015. L’idea è tanto semplice quanto rivoluzionaria: far rivivere alcuni dei manifesti più iconici della storia dell’arte, della filosofia e della politica attraverso la voce e il corpo di una sola interprete.
Blanchett, camaleontica come non mai, veste i panni di tredici personaggi diversi: dal senzatetto che declama il Manifesto del Partito Comunista, alla vedova che al funerale recita il manifesto dadaista, fino a una maestra di scuola che spiega i dettami del Dogma 95. Ogni segmento è un piccolo universo a sé, privo di trama lineare, ma carico di forza visiva e intellettuale. Il risultato è un film che divide: audace, affascinante, ma volutamente ostico. Un’opera che richiede attenzione e disponibilità a lasciarsi trascinare dalle parole e dalle immagini, senza la guida di una narrazione tradizionale.
In Manifesto Blanchett non recita: plasma. Ogni ruolo ha uno sguardo, un accento, un linguaggio del corpo unico. Non c’è mai un personaggio che ricorda l’altro, eppure tutti convergono in un’unica riflessione sulla forza dell’arte come atto politico e sociale. L’attrice riesce a rendere universali testi scritti in epoche diverse, trasportandoli in contesti moderni e quotidiani. Il senzatetto che pronuncia parole di lotta e uguaglianza ha lo stesso impatto della coreografa che discute estetica, o della vedova che porta il dadaismo dentro il rituale di un addio. Ogni performance è un esercizio di stile, ma anche un gesto di impegno. Perché Blanchett non interpreta i manifesti: li vive, li fa vibrare. A distanza di dieci anni da Manifesto, il Leone d’Oro veneziano firmato Jarmusch conferma quanto l’attrice australiana sia capace di adattarsi a qualsiasi contesto: da protagonista assoluta di un’opera sperimentale a ingranaggio fondamentale in un cast corale.
In Father Mother Sister Brother il tema è la famiglia moderna, frammentata e surreale. Blanchett non ruba la scena, ma contribuisce a darle ritmo e intensità, dimostrando una volta di più che il suo talento non ha confini. Chi guarda oggi Manifesto su Prime Video non può che cogliere un filo rosso con la sua consacrazione veneziana: la capacità di rischiare, di reinventarsi, di non rimanere mai intrappolata in un ruolo rassicurante. Blanchett è una diva, sì, ma di quelle che rifiutano l’etichetta, preferendo sorprendere ogni volta. Se Father Mother Sister Brother la incorona nell’Olimpo dei grandi attori contemporanei, Manifesto resta la testimonianza più pura e radicale del suo genio. È un film che può piacere o respingere, ma che non lascia indifferenti. E soprattutto, è la prova che il talento di Blanchett non ha mai avuto paura di confrontarsi con l’arte nella sua forma più estrema.
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