Alessandro Borghi, da Aureliano a Hasán: la svolta che nessuno si aspetta.
Alessandro Borghi ha costruito la sua carriera su ruoli che hanno lasciato un segno nella cultura pop italiana e non solo. Ha dato voce al dolore civile con Sulla mia pelle, ha incarnato la ferocia e la fragilità di Aureliano in Suburra, ha sfidato le origini di Roma ne Il primo re, ha portato sullo schermo l’amicizia assoluta ne Le otto montagne. Ogni volta ha alzato l’asticella, spostando il confine tra attore e personaggio. Ed è proprio quando sembra aver detto tutto, che Borghi sceglie la strada meno prevedibile. Il suo nuovo film, El Cautivo di Alejandro Amenábar, lo porta dentro un universo che profuma di polvere, sabbia e catene: Algeri del 1575, dove Miguel de Cervantes visse la sua prigionia più drammatica.

Nel film, Borghi interpreta Hasán, il Bajà di Algeri. Un uomo temuto, rispettato e avvolto dal mistero. Non il classico antagonista monolitico, ma una figura che vive di contraddizioni. È carceriere e al tempo stesso spettatore affascinato dall’arte narrativa di Cervantes, quasi catturato da quella capacità di trasformare il dolore in racconto. Per Borghi, abituato a personaggi tormentati e visceralmente umani, Hasán rappresenta un nuovo territorio: non più il ragazzo di Ostia che cerca il riscatto, non più il fratello guerriero che parla un protolatino ancestrale, ma un governatore che detiene il potere assoluto e che sceglie di esercitarlo con durezza e sottile curiosità.
Alessandro Borghi: una carriera costruita sulle metamorfosi
Guardando indietro, si nota come Borghi abbia sempre cercato ruoli che non lasciano spazio a mezze misure. In Non essere cattivo ha raccontato il disagio sociale delle periferie romane. Con Sulla mia pelle ha incarnato un simbolo di ingiustizia che resta scolpito nella memoria. In Suburra ha firmato uno dei personaggi criminali più iconici mai scritti per il cinema italiano contemporaneo. Ma El Cautivo è diverso: qui Borghi deve farsi interprete di un potere che non nasce dalla rabbia o dalla violenza di strada, ma da una struttura storica e politica che lo sovrasta. La sua forza sta nel silenzio, negli sguardi, in quel confine sottile tra crudeltà e ammirazione verso l’uomo che tiene prigioniero.
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La regia di Amenábar, capace di unire spettacolo visivo e profondità filosofica, spinge ancora di più l’asticella delle aspettative. Le prime immagini trapelate parlano di un’opera che non si limita a ricostruire un’epoca, ma esplora le dinamiche tra oppressore e prigioniero con una tensione quasi teatrale. Borghi, ormai volto riconosciuto anche a livello internazionale grazie a Le otto montagne e Supersex, si ritrova in una sfida che potrebbe consacrarlo definitivamente nel panorama europeo. Hasán non è solo un personaggio storico: è un enigma. E Borghi sembra pronto a trasformarlo in uno dei suoi ruoli più memorabili. Ogni volta che Alessandro Borghi si reinventa, crea un “momento Borghi”: quello in cui pubblico e critica si fermano per capire quanto in profondità può spingersi un attore che ha fatto della metamorfosi la sua cifra distintiva. Con Hasán, questo momento sembra già scritto. E l’attesa per l’uscita di El Cautivo a settembre 2025, ben prima dell’altrettanto attesissimo Kolossal Sandokan su Rai 1, non fa che crescere.
