Prima di Frankenstein, c’era Saltburn: Jacob Elordi e la seduzione del lato oscuro.
Jacob Elordi a Venezia è stato l’uomo più atteso, il volto che ha catalizzato l’attenzione della Mostra e che ora porta con sé una delle sfide più ardite della sua carriera: diventare il nuovo mostro di Guillermo del Toro in Frankenstein. Un ruolo che promette di ridefinire la sua immagine e consacrarlo definitivamente nell’Olimpo di Hollywood. Ma per comprendere fino in fondo la potenza magnetica di Elordi e la sua predisposizione all’oscurità, c’è un film che non si può ignorare: Saltburn. Diretto da Emerald Fennell, già premio Oscar per Una donna promettente, Saltburn è un thriller psicologico che divide, affascina, inquieta. È il ritratto di un’ossessione che diventa possessione, di un desiderio che si trasforma in dominio. Nel cuore della storia c’è Oliver Quick (Barry Keoghan), studente outsider che si insinua nella vita della ricchissima famiglia Catton, fino a manipolarne le dinamiche più intime.
A spalancargli la porta di questo universo è proprio Felix Catton, interpretato da Jacob Elordi: l’amico perfetto, il figlio ideale, l’erede dorato di una società che vive di eccessi e fragilità. Elordi in Saltburn non è mai una presenza neutrale. È l’oggetto del desiderio, il catalizzatore delle ossessioni, il simbolo di un mondo che luccica ma che nasconde voragini oscure. La sua fisicità imponente e la naturale eleganza lo rendono il centro di gravità della vicenda, ma è nella vulnerabilità accennata, nello sguardo che tradisce un’ombra di fragilità, che l’attore australiano rivela di avere già gli strumenti per affrontare Frankenstein: un personaggio fatto di contrasti, di umanità spezzata e di abissi interiori.
Il fascino di Saltburn sta proprio nel suo doppio registro: da un lato la bellezza barocca di una tenuta inglese che sembra uscita da un romanzo vittoriano, dall’altro la crudeltà di una storia che mostra come l’ossessione per il potere e per l’appartenenza possa divorare tutto. Rosamund Pike e Richard E. Grant incarnano i padroni di casa, ironici e decadenti, mentre Carey Mulligan regala una parentesi indimenticabile in pochi minuti di scena. Ma è il rapporto tra Keoghan ed Elordi a dettare il ritmo, in un’alchimia che alterna attrazione e minaccia, tenerezza e inquietudine. Guardare Saltburn oggi, alla vigilia del Frankenstein di Guillermo del Toro, significa compiere un viaggio preparatorio: scoprire come Elordi riesca a trasformare la propria bellezza classica in un’arma narrativa, come riesca a interpretare non solo un ragazzo di privilegio, ma un fantasma che perseguita lo spettatore ben oltre i titoli di coda.
Prima del mostro creato in laboratorio, c’è il mostro sociale: la rappresentazione di un’élite corrotta e fragile che Saltburn mette a nudo con ironia tagliente e visioni disturbanti. Se a Venezia Elordi è stato l’attore che tutti volevano vedere, Saltburn è il film che permette di capirne la traiettoria, di intuire dove sta andando e perché Guillermo del Toro lo ha scelto per il suo progetto più ambizioso. È un cult destinato a restare, un’opera che parla di ossessioni collettive e individuali, e che segna una tappa fondamentale nel percorso di un interprete che non smette di sorprendere.
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