Un capolavoro dimenticato, un’opera che ha segnato la storia del cinema italiano e che oggi torna a emozionare grazie a RaiPlay: parliamo de Il giardino dei Finzi Contini, il film diretto da Vittorio De Sica nel 1970 e tratto dal romanzo di Giorgio Bassani. Un film che, nonostante i riconoscimenti internazionali, è rimasto troppo a lungo nell’ombra. E che oggi merita di essere riscoperto, soprattutto dalle nuove generazioni.
Il giardino dei Finzi Contini non è solo un film. È una memoria collettiva tradotta in immagini. Una finestra su un’Italia che stava cambiando, travolta dal fascismo e dalle leggi razziali. Ambientato a Ferrara, racconta la vita di una famiglia ebrea dell’alta borghesia, raffinata e isolata, chiusa in una villa circondata da un giardino immenso. Un luogo di eleganza sospesa, ma anche di fragilità e illusione.
La storia ruota intorno a Micòl e Alberto Finzi Contini, interpretati da Dominique Sanda e Helmut Berger. Dopo l’adozione delle leggi razziali, i due fratelli aprono il loro giardino a un piccolo gruppo di amici esclusi dal circolo cittadino. Tra loro c’è Giorgio, il protagonista, interpretato da Lino Capolicchio, segretamente innamorato di Micòl. Ma la villa non è un rifugio sicuro: è un luogo sospeso, dove i legami affettivi si intrecciano mentre fuori la storia incalza. Nel cast troviamo anche Fabio Testi nei panni di Giampiero Malnate, Romolo Valli come padre di Giorgio, Camillo Cesarei nel ruolo del professor Ermanno Finzi Contini e Katina Morisani come Olga. Un ensemble che ha dato vita a una delle pellicole più raffinate e malinconiche del Novecento italiano.
I riconoscimenti furono straordinari. Il giardino dei Finzi Contini vinse l’Oscar come miglior film straniero nel 1972 e l’Orso d’Oro al Festival di Berlino nel 1971. De Sica ottenne il David di Donatello per il miglior film, mentre Romolo Valli fu premiato come miglior attore non protagonista. La colonna sonora, firmata da Manuel De Sica, ricevette addirittura una nomination ai Grammy Awards. Un trionfo internazionale che confermò l’universalità della storia.
La nascita del film non fu semplice. Lo scrittore Giorgio Bassani, autore del romanzo, inizialmente collaborò alla sceneggiatura. Poi però si scontrò con De Sica e chiese che il suo nome fosse rimosso dai titoli di coda. Il contrasto principale? Il finale. Bassani lasciava aperto l’epilogo, De Sica invece scelse di mostrare chiaramente la deportazione. Una decisione dolorosa, ma che rese la pellicola ancora più potente. Le riprese ricrearono con cura un’atmosfera sospesa. Il giardino diventa quasi un personaggio: simbolo di protezione e bellezza, ma anche di isolamento e fragilità. Dentro la villa i giovani vivono amori non corrisposti, dialoghi intensi, illusioni di eternità. Fuori, la Storia bussa con violenza. È questo contrasto che rende il film eterno e struggente.
Il giardino dei Finzi Contini non è solo una testimonianza artistica, ma anche civile. Ha aperto la strada a un modo nuovo di raccontare la Shoah nel cinema italiano. Ha influenzato registi successivi che hanno scelto la via della delicatezza e dell’attesa prima della tragedia, piuttosto che la spettacolarizzazione della violenza.
Per questo, oggi, vederlo su RaiPlay ha un valore doppio. Da un lato, significa riscoprire l’ultimo grande capolavoro di Vittorio De Sica, che morirà solo quattro anni dopo. Dall’altro, vuol dire confrontarsi con un pezzo di memoria che continua a parlarci. Perché racconta non solo la persecuzione degli ebrei italiani, ma anche la fragilità dei rapporti umani di fronte all’abisso. In un tempo in cui tutto corre veloce, questo film ci invita a fermarci. A osservare quel giardino incantato, pieno di speranze destinate a spegnersi. A ricordare che la bellezza non può mai proteggere del tutto dal dolore della Storia. E che il cinema, quando è grande, ci restituisce la vita in tutta la sua verità. Su RaiPlay, oggi, non è solo un film da rivedere. È un’esperienza necessaria. Un pezzo di memoria che non deve più finire nel dimenticatoio.
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