Hai ancora pochissimi giorni per guardare su RaiPlay un film che ha segnato il cinema italiano degli anni ’90. Si tratta di Radiofreccia, l’opera prima di Luciano Ligabue. Un debutto sorprendente che ha conquistato premi prestigiosi come i David di Donatello e i Nastri d’argento. Nonostante questo, molti spettatori lo hanno dimenticato o non l’hanno mai visto. Adesso hai l’occasione di recuperarlo prima che sparisca dalla piattaforma.
Era il 1998 quando il rocker di Correggio decise di trasformare i suoi racconti di Fuori e dentro il borgo in un film. Un rischio enorme, perché Ligabue non era un regista. Eppure riuscì a dare voce a una generazione intera, quella cresciuta tra gli anni ’70 e gli anni ’90 nella provincia emiliana. Un’Italia fatta di radio libere, amicizie indissolubili e drammi segnati dalla tossicodipendenza.
Al centro della storia c’è Ivan Benassi, detto Freccia, interpretato da uno straordinario Stefano Accorsi. Il personaggio incarna il fascino e la fragilità di un ragazzo che non riesce a sottrarsi al richiamo delle droghe. La sua vicenda si intreccia con quella di Bruno Iori (Luciano Federico), voce e anima della radio locale. Accanto a loro, Iena (Alessio Modica), Tito (Enrico Salimbeni) e Boris (Roberto Zibetti). Un gruppo che vive speranze, amori e dolori tra i microfoni di una piccola emittente chiamata Radio Raptus, poi diventata Radiofreccia.
Non è solo un film su un gruppo di amici. Radiofreccia è un racconto collettivo, un mosaico di emozioni che attraversano la provincia italiana. C’è la musica come forza liberatoria, c’è la disperazione di chi cerca una via di fuga, c’è la solidarietà tra ragazzi che condividono tutto. Ligabue mette in scena la sua generazione senza filtri, mostrando quanto sia fragile il confine tra sogni e disillusione. Il film ha vinto tre David di Donatello: miglior attore protagonista a Stefano Accorsi, miglior regista esordiente a Ligabue e miglior sonoro in presa diretta a Gaetano Carito. Ha ottenuto due Nastri d’argento e ben quattro Ciak d’oro. È stato persino proiettato al MoMA di New York nel 2006, a testimonianza del suo impatto anche fuori dall’Italia.
Accanto a un cast corale di giovani attori, troviamo presenze sorprendenti. Francesco Guccini nel ruolo del barista Adolfo, Serena Grandi come madre di Freccia, Cristina Moglia e Patrizia Piccinini in ruoli femminili intensi. Non è solo un film generazionale: è anche un documento vivo delle atmosfere culturali e musicali italiane di quegli anni.
Ci sono poi le curiosità che rendono Radiofreccia ancora più affascinante. Ligabue ha attinto alle proprie esperienze personali. Molti episodi del film nascono da fatti realmente accaduti in provincia. E non è un caso che la pellicola sia anche un grande omaggio alle radio libere, autentico laboratorio di sogni e ribellione negli anni ’70. Un dettaglio spesso dimenticato: nel secondo film di Ligabue, Da zero a dieci, appare Giove, il fratello minore di Freccia. Un ponte narrativo che lega le due opere e che mostra quanto l’autore sentisse vivo quell’universo.
Oggi Radiofreccia continua a parlare alle nuove generazioni. Nonostante sia stato girato quasi trent’anni fa, il suo sguardo resta attuale. Parla di amicizia, di errori che costano caro, di passioni che bruciano troppo in fretta. E ricorda a chiunque sia cresciuto in provincia la forza e la durezza di quegli anni. Se non l’hai mai visto, questo è il momento giusto. Hai ancora pochi giorni per recuperarlo su RaiPlay. Tra 7 giorni sparirà dal catalogo. E perdere un film così, che ha segnato la carriera di Stefano Accorsi e consacrato Luciano Ligabue come regista, sarebbe davvero un peccato.
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