In prima tv su Rete 4 alle 21:30 arriva Kursk. Ci sono storie che il tempo non cancella: il Kursk è una di queste. Un nome che evoca silenzio, gelo, acqua nera e vite spezzate.
Era agosto 2000. Il sottomarino nucleare russo K-141 Kursk stava partecipando a un’esercitazione nel Mare di Barents. Poi, due esplosioni. Il buio. L’acqua. L’angoscia. Di 118 uomini, solo 23 rimasero vivi nei primi momenti. Intrappolati. Senza sapere se qualcuno sarebbe mai arrivato a salvarli. Fu una corsa contro il tempo. E contro la politica.
Il film “Kursk” (2018), diretto da Thomas Vinterberg, racconta quei giorni con uno sguardo umano e implacabile. Non solo il disastro. Ma le voci, i volti, le emozioni di chi c’era. E di chi aspettava. Questa pellicola riporta sullo schermo la tragedia che scosse la Russia e il mondo intero. E lo fa con un cast di altissimo livello.
Matthias Schoenaerts è il cuore del film. Interpreta un marinaio e padre coraggioso, simbolo di tutti i caduti. Il suo volto porta il peso di chi lotta fino all’ultimo respiro. Léa Seydoux è la moglie che aspetta. Che non si arrende. Che urla contro muri di silenzio e burocrazia. La sua interpretazione è intensa e autentica. Colin Firth veste i panni di un ufficiale della Marina britannica. È tra i pochi a cercare di rompere il muro politico. A spingersi oltre i protocolli. A offrire aiuto quando ogni minuto conta. La sceneggiatura, firmata da Robert Rodat (autore di Salvate il soldato Ryan), si ispira al libro di Robert Moore A Time to Die: The Untold Story of the Kursk Tragedy. Ogni scena è pensata per restituire verità e dignità ai protagonisti reali.
Il regista Thomas Vinterberg, già noto per Il sospetto e Festen, non racconta solo un disastro. Porta sullo schermo il peso della politica e dell’orgoglio nazionale. Mostra come il rifiuto di aiuti internazionali, per motivi di segretezza militare, abbia inciso sulle vite in gioco. Le riprese si sono svolte tra Francia, Belgio e Norvegia. La Russia non ha mai collaborato alla produzione. Il film alterna due piani narrativi. Da un lato, la claustrofobia di chi è intrappolato nel relitto. Dall’altro, la tensione di chi sulla terra ferma affronta muri di omertà e lentezze burocratiche. È un’opera che parla di coraggio. Di amore. Di resilienza. Ma anche di orgoglio e ostinazione. E di come questi possano costare vite.
Presentato in anteprima al Toronto International Film Festival nel 2018 e alla Festa del Cinema di Roma, “Kursk” ha suscitato dibattito. Le recensioni sono state miste. Alcuni critici hanno lodato la tensione narrativa e le interpretazioni. Altri hanno segnalato un ritmo non sempre uniforme. Eppure, la forza emotiva della storia resta. “Kursk” si inserisce nella tradizione del disaster movie realistico, accanto a titoli come Deepwater Horizon o United 93. Ma ha una specificità: è anche un film politico. L’impatto sui lavori successivi di Vinterberg è evidente. Il regista continua a esplorare storie vere con forte carica umana. Sempre con uno sguardo critico verso le istituzioni.
Guardare “Kursk” significa immergersi in una vicenda che è memoria collettiva. È rivivere un momento in cui il mondo guardava, impotente, verso le profondità del mare. Significa sentire la paura di chi è intrappolato. La speranza di chi aspetta. L’ingiustizia di chi sa che il tempo scorre troppo in fretta. È un film che travolge di emozioni. Che lascia il segno. E che ricorda una verità semplice: dietro ogni tragedia, ci sono volti e storie che non possiamo dimenticare.
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