Lo hanno girato nel 1995, ma sembra scritto nel 2020: su Netflix un film in cui c’è un virus che arriva dall’Africa, una scimmia portatrice sana e un governo che vuole nascondere tutto.
“Virus Letale” (titolo originale Outbreak) non è solo un thriller. È un film che ha anticipato un incubo diventato realtà. E Netflix lo rimuove il 4 agosto. Se non lo hai mai visto, questa è l’ultima occasione. Se lo hai già visto, oggi fa ancora più paura. Perché non sembra più finzione. Il protagonista è Dustin Hoffman, in uno dei suoi ruoli più coraggiosi. Accanto a lui ci sono Morgan Freeman, Donald Sutherland, Rene Russo, Kevin Spacey e Cuba Gooding Jr.. Una squadra che vale oro, diretta da Wolfgang Petersen, già regista di La tempesta perfetta e Air Force One.
Il film racconta la diffusione incontrollata di un virus letale, il Motaba. Inizia in Africa, nello Zaire degli anni Sessanta. Una base militare americana viene distrutta per cancellare ogni traccia del contagio. Trent’anni dopo, il virus riemerge. Un medico militare, il colonnello Sam Daniels (Hoffman), prova a dare l’allarme. Ma i suoi superiori, interpretati da Freeman e Sutherland, lo ignorano. Il virus arriva negli Stati Uniti. E muta.
Ora è trasmissibile per via aerea. Una piccola cittadina della California, Cedar Creek, entra in lockdown. Il governo valuta l’opzione nucleare: distruggere tutto. Daniels, insieme all’ex moglie Robby (Russo) e al maggiore Salt (Gooding Jr.), tenta il tutto per tutto: trovare la scimmietta infetta e sintetizzare un antidoto. Una corsa contro il tempo. Contro il virus. E contro chi vuole mettere a tacere la verità.
Al tempo dell’uscita, nel marzo del 1995, “Virus Letale” fu un successo al botteghino. Incassò oltre 190 milioni di dollari nel mondo. Ma non vinse premi importanti e venne archiviato come un blockbuster d’intrattenimento. Poi arrivò il 2020. Nel pieno della pandemia, il film tornò tra i titoli più visti su Netflix USA. Le sue scene — il contagio al cinema, le tute protettive, la quarantena forzata — sembravano tratte dal telegiornale.
Ma Petersen e gli sceneggiatori si erano ispirati a eventi veri. In particolare al libro The Hot Zone di Richard Preston, che documenta un’epidemia reale di ebola vicino Washington D.C. La scimmietta? Esisteva davvero. Riguardarlo oggi è un pugno nello stomaco. Il modo in cui mostra la paura. L’ignoranza. L’indifferenza dei vertici. E l’umanità dei medici che disobbediscono pur di salvare vite. Il personaggio di Hoffman è fragile, ostinato, emotivamente distrutto ma lucido. È l’uomo giusto nel momento sbagliato. Donald Sutherland invece è glaciale. Un generale che sa tutto, ma vuole il silenzio. “Per il bene del Paese”, dice. Ma a quale prezzo?
Il film non invecchia, cambia solo significato. Non è più un racconto ipotetico. È diventato uno specchio. Alcuni lo vedono come una metafora dell’AIDS. Altri come un precursore di Contagion (2011), più realistico ma meno emozionante. Le location sono vere. Cedar Creek è Ferndale, in California. La giungla africana? Le Hawaii. Ma ciò che colpisce è quanto sembri tutto vicino, familiare, possibile. La domanda finale resta: può un film cambiare il modo in cui ricordiamo la realtà? “Virus Letale” ci riesce. E oggi, prima che Netflix lo cancelli, vale la pena riguardarlo. Per capire quanto non eravamo pronti. E forse non lo siamo ancora. Disponibile su Netflix fino a domani, 4 agosto. Poi sparirà. Guardalo adesso, prima che sia troppo tardi.
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