Il gioiello dimenticato del cinema italiano che oggi brilla su Netflix: una visione imperdibile targata Sorrentino.
C’è un film italiano nascosto nel catalogo di Netflix che, più di tanti altri, riesce a unire l’audacia della visione autoriale al respiro internazionale del grande cinema. È This Must Be the Place, diretto da Paolo Sorrentino nel 2011. Non è uno dei soliti “film da vedere su Netflix” che compaiono nelle liste da weekend pigro. Ha attraversato i festival, raccolto premi, e ora silenziosamente aspetta di essere riscoperto. Un’opera che, come il protagonista è fragile, irripetibile e piena di grazia. Protagonista assoluto è Sean Penn, che si trasfigura in Cheyenne, ex rockstar gotica dal volto di ceramica e lo sguardo perso nel vuoto. Non parla, biascica. Non cammina, ondeggia. Vive a Dublino, in un eterno presente fatto di silenzi, piscine coperte e litri di malinconia. Eppure, quando il passato bussa, Cheyenne risponde.
La morte del padre e la scoperta di un passato segnato dall’umiliazione ad Auschwitz lo spingono a mettersi in viaggio attraverso l’America, in cerca di un ex ufficiale nazista. Un road movie esistenziale. Ogni incontro è una scheggia, ogni paesaggio un’eco, ogni silenzio una preghiera. Sean Penn è semplicemente miracoloso. Irriconoscibile, a tratti comico, ma mai caricaturale. Ogni gesto è calibrato, ogni sguardo è una frattura. Accanto a lui, Frances McDormand nel ruolo della moglie Jane. David Byrne firma anche una colonna sonora magnetica. Compare anche in un cameo tra i più memorabili del decennio. Sorrentino qui gioca a fare il regista americano con cuore italiano e ci riesce. L’estetica è impeccabile e la fotografia di Luca Bigazzi scolpisce ogni scena con una precisione lirica. Il film non ha fretta, ma chiede solo di seguirlo, non di capirlo. Accompagna dentro i suoi silenzi, le sue fughe e i suoi fantasmi.
I riconoscimenti non sono certo mancati. Al Festival di Cannes è stato selezionato per la Palma d’Oro e ha vinto il premio della giuria ecumenica. Ai David di Donatello ha conquistato sei premi, tra cui Fotografia, Musica e Sceneggiatura. I Nastri d’Argento gli hanno regalato il titolo di Miglior Regia, e ai Ciak d’Oro è stato incoronato Miglior Film. Un trionfo quasi dimenticato, che oggi torna a far parlare di sé proprio grazie alla piattaforma che più di tutte sa dare nuova vita a film che meritano ben più di un algoritmo.
This Must Be the Place non è un film da guardare: è un film da attraversare. È una favola gotica e insieme un grido silenzioso contro l’indifferenza, una meditazione visiva sull’identità, il dolore ereditato e la possibilità di redenzione. È Sorrentino che osa, sbaglia a volte, ma sempre con un’ambizione rara. Ecco perché oggi, tra una serie usa-e-getta e l’ennesimo thriller scandinavo, questo film è un atto d’amore verso il cinema. Un’opera che non si dimentica e che resta addosso. Che guarda mentre la guardi. Un film che merita di essere (ri)scoperto. Perché ogni tanto, tra le pieghe del catalogo, brillano ancora i diamanti.
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