Una bicicletta nella notte, il rumore dei pedali, un’ombra e poi le fiamme: così comincia La notte del 12, film francese pluripremiato, in onda stasera in tv alle 21:20 su Rai 3.
È un film duro. Potente. Inutile girarci attorno: non tutti riusciranno a guardarlo fino alla fine. Non perché sia violento. Ma perché è vero. Basato sul libro-inchiesta 18.3. Une année à la PJ della giornalista Pauline Guéna, il film racconta un fatto realmente accaduto. O meglio, una fusione di casi reali. Vissuti, documentati e ascoltati all’interno della polizia giudiziaria di Grenoble. Il regista Dominik Moll prende questi materiali grezzi e costruisce una narrazione che spezza. E inquieta. E non consola.
Il cuore della storia è il brutale omicidio di Clara Royer, una ragazza di 21 anni. Qualcuno la aspetta di notte, mentre rientra in bicicletta. La cosparge di benzina. Le dà fuoco. Muore bruciata viva. L’indagine si concentra sulle sue relazioni. I suoi amici. I suoi amori. Le sue fragilità. Ma nessuno è colpevole. Oppure lo sono tutti, in parte. O almeno abbastanza da farci dubitare di tutto.
Il protagonista è il giovane comandante della brigata criminale, Yohan Vivès, interpretato da Bastien Bouillon. Non è un eroe. È un uomo che cerca la verità e si perde nella nebbia. Accanto a lui c’è Bouli Lanners, nel ruolo del collega più disilluso. Insieme formano una coppia investigativa atipica: lucida e stanca, fragile e feroce. Nessuno dei due trova pace. Nessuno dei due troverà un colpevole. Nel cast anche Anouk Grinberg nel ruolo del giudice. E poi Mouna Soualem, Pauline Serieys, Théo Cholbi, e la giovane Lula Cotton-Frapier, intensa nel ruolo della vittima.
Il film ha vinto sei premi César nel 2023, tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore non protagonista e miglior sceneggiatura non originale. Un trionfo meritato. Perché La notte del 12 non è solo un thriller. È un’indagine sulle ferite. Sulle ingiustizie che non si chiudono. Sulle donne uccise e dimenticate. Il film non offre soluzioni. Ma mostra la frustrazione di chi lotta ogni giorno contro una verità che non si fa mai trovare. E di chi resta a guardare, impotente, mentre la giustizia si inceppa. La bicicletta di Clara torna più volte nel film. Come una spirale. Un cerchio che non si chiude. È il simbolo di un dolore che si ripete, uguale, per altre donne. Altri casi. Altri silenzi.
In Francia è stato un caso. Più di 500.000 spettatori nelle sale. Settimane nella top ten. Dibattiti televisivi. Articoli. Podcast. Tutti parlano di La nuit du 12. Perché ha toccato un nervo scoperto: quello dei femminicidi. E della loro banalizzazione. Della loro frequenza. Del loro silenzio. Il film ha ispirato altri registi. Ha aperto una nuova strada per il noir europeo. Meno glamour. Più reale. Più umano. Non cerca l’azione. Cerca il trauma. Mostra i limiti della legge, della memoria, e perfino della narrazione stessa. Non sempre i conti tornano. Non sempre c’è giustizia.
Ed è proprio questo a renderlo così sconvolgente. Perché il mostro, stavolta, non si nasconde. È intorno. È dentro, nell’indifferenza collettiva. Nelle procedure lente. Nella stanchezza morale di chi dovrebbe proteggere. La notte del 12 non è un film da guardare per distrarsi. Ma è uno di quelli che restano. Nello stomaco. Nella testa. E anche nella cronaca. Stasera in tv, su Rai 3, non andrà in onda solo un film. Ma un racconto necessario. Una ferita ancora aperta. E una domanda che continua a bruciare: quante Clara ci sono ancora là fuori?
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