Teresa Saponangelo, cuore del cinema d’autore: da Netflix a Sorrentino, fino all’anteprima di Venezia
C’è un filo invisibile che unisce Napoli, Netflix e la Mostra del Cinema di Venezia. Un filo che passa per lo sguardo intenso, silenzioso e spesso dolente di Teresa Saponangelo. Dopo aver lasciato un segno profondo nel pubblico con Sara – La donna dell’ombra, e dopo il clamoroso successo in È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, l’attrice torna al cinema con L’isola di Andrea di Antonio Capuano, in anteprima fuori concorso all’82ª edizione della Mostra. Ma chi è Marta, il nuovo personaggio interpretato da Saponangelo? Una madre. Ancora. Ma non una replica, non una variazione sul tema. Marta è carne viva, esasperazione legale, stanchezza emotiva. Una donna che cerca di proteggere il figlio mentre il tribunale diventa teatro di dolore e ostilità. Nessuna missione segreta, nessuna ironia salvifica: Marta è tutta esposta, vulnerabile, costretta a lottare in una guerra che nessuna madre vorrebbe combattere.
E Saponangelo ci porta lì, al centro della ferita. Tre ruoli, tre donne, tre declinazioni del materno. Maria Schisa, in È stata la mano di Dio, è solare, affettuosa, tragicamente luminosa. Porta in scena la leggerezza e il dramma con la naturalezza di chi ha fatto della vita un atto teatrale. Maria è il cuore della famiglia, la complice dei figli, la donna che ride per non crollare. Sara Morozzi, nella serie thriller Netflix, è l’opposto: chiusa, scura, spettro in un mondo di fantasmi. Ex agente segreto, madre segnata da lutti indicibili, Sara non cerca empatia, ma vendetta, risposte, pace. E lo fa in silenzio, con lo sguardo fisso e la voce bassa. Saponangelo in sottrazione, potentissima. Marta invece è il volto della realtà. È una madre comune costretta all’eccezionale. Una donna che non combatte contro lo Stato né contro il destino, ma contro l’assenza di umanità nel meccanismo giudiziario. In scena con Vinicio Marchioni, Saponangelo sfida l’aridità delle aule di tribunale, senza perdere mai quella verità emotiva che la rende una delle attrici più credibili del nostro cinema.
Dietro la macchina da presa, Antonio Capuano torna a raccontare Napoli e le sue periferie esistenziali, firmando un film che richiama nel titolo L’Isola di Arturo di Elsa Morante, ma che si muove tra drammi familiari e realtà processuali. La sua scelta di dirigere di nuovo Saponangelo non stupisce: l’attrice è perfetta per scavare nei conflitti domestici, per rendere visibili le crepe emotive che altri ruoli spesso ignorano. E non è un caso che la presentazione del film a Venezia 82 stia già attirando l’attenzione di critici e appassionati. Perché dietro ogni film di Capuano c’è un’urgenza, e quando questa urgenza passa per la voce e il corpo di Saponangelo, la combinazione diventa potente.
Quello che sta accadendo a Teresa Saponangelo non è comune. Non solo sta attraversando cinema d’autore e serie mainstream con una coerenza rara, ma sta anche costruendo un immaginario preciso: quello delle donne che affrontano il dolore senza mai perdere la propria umanità. Che siano madri, spie, mogli o amiche, i suoi personaggi restano incisi perché parlano a voce bassa ma lasciano il segno. E se oggi il suo volto domina i trailer su Netflix, e domani sarà tra le immagini più attese sul red carpet di Venezia, è perché Teresa Saponangelo è diventata una garanzia. Di qualità, di intensità, di verità.
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