RIMINI, un premio inaspettato, un discorso sorprendente e un futuro televisivo pieno di interrogativi: Can Yaman, accolto con entusiasmo al Teatro Galli durante l’Italian Global Series Festival, ha lasciato tutti senza parole su Sandokan.
L’attore turco ha ricevuto un riconoscimento in vista dell’attesissima fiction Rai “Sandokan”, prodotta da Lux Vide (gruppo Fremantle) in collaborazione con Rai Fiction. Ma invece di ringraziare con entusiasmo, ha gelato il pubblico: “Io ancora non penso di meritare nessun premio. A dicembre uscirà Sandokan. Speriamo che piacerà a tutti quanti”. Un’affermazione che ha spiazzato molti. Perché l’interprete principale di una serie evento, attesa da mesi, ha scelto l’umiltà. E ha preferito frenare l’entusiasmo con un discorso sincero e quasi controcorrente.
Il suo volto è già diventato immagine simbolo del reboot. Ma lui frena: “Abbiamo aspettato tantissimo per questo ruolo. Tanta attesa, tanta preparazione, tante sofferenze”. Aggiunge: “Quando uscirà, spero che spacchi. Ma ora è troppo presto per ricevere premi”. Sandokan andrà in onda su Rai 1 e RaiPlay tra novembre e dicembre. Il progetto è firmato da Luca Bernabei, con regia di Jan Maria Michelini e Nicola Abbatangelo. Nel cast anche Alessandro Preziosi, Alanah Bloor ed Ed Westwick.
Le riprese si sono svolte tra Lazio, Toscana e Calabria, con scene ambientate anche a Le Castella, trasformata nella Malacca coloniale. Un impianto visivo imponente, per un personaggio leggendario. Eppure, l’entusiasmo della produzione non sembra coincidere con il sentimento di Yaman. E forse questo dice molto su ciò che Sandokan rappresenta davvero: un’eredità pesante, una sfida culturale, una figura che trascende la fiction.
Sandokan è un simbolo della televisione italiana. L’originale degli anni ’70, interpretato da Kabir Bedi, è ancora nel cuore di milioni di spettatori. Riprenderne le redini non è impresa facile. Nemmeno per un volto internazionale come Can Yaman. La storia, ambientata nel Borneo di metà Ottocento, racconta la lotta tra colonialismo inglese e ribellione indigena. Il pirata Sandokan combatte con la sua ciurma, al fianco dell’amico Yanez. Ma la svolta arriva con l’incontro con Marianna, la “perla di Labuan”. Una storia d’avventura, ma anche di amore impossibile, libertà e resistenza. Elementi ancora più complessi da rendere oggi, in un’epoca di sensibilità nuove e sguardi globali.
Yaman lo sa. Lo ha fatto capire nel suo intervento a Rimini: “Tanta nostalgia. Tanta responsabilità. Quando uscirà, forse allora potrò dire di meritare un premio”. Il pubblico ha reagito con rispetto. Ma il dubbio resta. È troppo presto per celebrare? Il rischio è quello di bruciare l’attesa prima che la serie possa davvero dimostrare il suo valore.
L’hype è alto. E i riflettori sono puntati su un solo nome: Can Yaman. È giusto? Per ora, resta l’eco delle sue parole. E un’aspettativa che cresce giorno dopo giorno. In silenzio, ma anche con qualche timore. Perché Sandokan non è solo una fiction: è un simbolo da far rivivere. Senza sbagliare un colpo.
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