Il martedì sera turco di Canale 5: da Tradimento a Terra Amara, perché l’Italia non riesce più a fare a meno delle storie di Istanbul.
Non è un semplice trend: è una vera e propria fascinazione collettiva. Le serie e i film turchi su Canale 5 non sono più “novità d’importazione”, ma appuntamenti consolidati nel palinsesto televisivo italiano. Dalla passione di Terra Amara al romanticismo tormentato di Brave and Beautiful, ogni nuovo titolo conferma quello che ormai è chiaro a tutti: il pubblico italiano ha un debole per la Turchia. Un debole fatto di primi piani languidi, famiglie complesse, amori impossibili e paesaggi da cartolina. Questa settimana, a raccogliere l’eredità emotiva di questa ondata è Mio figlio (Hadi be Oğlum), film drammatico del 2018 diretto da Bora Egemen, in onda martedì sera su Canale 5 in prima serata. Protagonista è Kıvanç Tatlıtuğ, uno degli attori più amati e riconoscibili del panorama turco, qui in una delle sue interpretazioni più intense e misurate.
Tatlıtuğ veste i panni di Ali, un giovane pescatore. Vive in una piccola comunità costiera insieme al padre. La sua vera sfida quotidiana è crescere da solo il figlio Efe, un bambino che non parla e non guarda negli occhi. Dopo la morte della compagna Leyla, Ali si ritrova davanti a un silenzio che non è solo emotivo, ma anche fisico: quello di un bambino che sembra inaccessibile, chiuso in un mondo tutto suo. La diagnosi non è mai pronunciata con esattezza, ma i segnali sono chiari. Efe si trova nello spettro autistico, con un disturbo della comunicazione che rende ogni tentativo di contatto una prova di resistenza. Eppure Mio figlio non è un film sulla malattia, ma sulla ricerca incessante di connessione. È la storia di un padre che non smette mai di provarci, anche quando tutto sembra suggerirgli di arrendersi. La svolta arriva quando Efe scopre la musica: davanti a un pianoforte, il bambino riesce finalmente a esprimersi. Per la prima volta Ali lo vede davvero. La musica si trasforma in ponte, in carezza che rompe l’isolamento.
Il film gioca sul registro emotivo con grande consapevolezza. Le inquadrature strette, i silenzi prolungati, gli sguardi mancati costruiscono un’atmosfera densa, a tratti claustrofobica, dove la comunicazione non verbale ha il peso di un monologo. Ma Mio figlio non cede mai al pietismo: sceglie la strada dell’empatia, della tenacia quotidiana, della luce che filtra lentamente, ma con decisione. Kıvanç Tatlıtuğ, già noto al pubblico italiano per la sua interpretazione in The Family, si conferma un attore capace di portare sullo schermo la vulnerabilità maschile senza retorica. Accanto a lui, il piccolo Alihan Türkdemir è sorprendente per naturalezza: i suoi silenzi non suonano mai forzati, ma autentici.
Ed è forse questa la forza del film. Non cerca l’effetto facile, ma costruisce con pazienza una tensione emotiva che si scioglie solo negli ultimi minuti, quando la speranza prende finalmente forma. Girato ad Antalya, tra porticcioli, barche da pesca e interni semplici, Mio figlio regala anche uno sguardo diverso sulla Turchia: non quello delle metropoli moderne o dei resort glamour, ma quello delle comunità affacciate sul mare, dove la vita è fatta di abitudini, sacrifici e piccole conquiste quotidiane. Non è un caso che Canale 5 abbia scelto di trasmettere questo film martedì 22 luglio in prima serata. Racchiude tutte le caratteristiche che rendono i prodotti turchi irresistibili al pubblico italiano. C’è il dramma, certo, ma anche la redenzione. C’è la difficoltà, ma anche la dolcezza. E soprattutto, un racconto profondamente umano.
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