Francesco Montanari su RaiPlay è un padre alla deriva: Regina è un pugno allo stomaco che non ti lascia scampo.
Un uomo che sacrifica tutto per la figlia. Una figlia che non riesce più a guardarlo negli occhi. Regina, disponibile su RaiPlay, non è solo un film: è un grido sommesso che scava nelle viscere del rapporto più intimo e viscerale che ci sia, quello tra un padre e una figlia. Diretto da Alessandro Grande, è uno di quei drammi italiani che arrivano in punta di piedi e poi ti restano addosso, come un livido difficile da ignorare. Protagonisti assoluti: Francesco Montanari, in uno dei suoi ruoli più dolorosi e trattenuti, e Ginevra Francesconi, giovane attrice che riesce a tenere testa a un personaggio adulto senza mai perdere tenerezza e potenza.
0Una scena da Regina, disponibile su RaiPlayLuigi è un uomo rotto. Ha rinunciato alla musica per crescere da solo la figlia Regina, dopo la morte della moglie. Le ha dato tutto. Forse troppo. Le ha riversato addosso sogni non realizzati, aspettative soffocanti, amore che non lascia spazio all’errore. Francesco Montanari, che molti ricordano come Libano in Romanzo Criminale, qui si spoglia dell’arroganza e veste la pelle ruvida di un padre che non sa più come amare. Il suo Luigi non urla, ma implora. Non guida, si aggrappa. E quando Regina commette un errore irreparabile, uccidere accidentalmente un sub durante una gita, lui fa la scelta più codarda: coprire tutto e fuggire dalla verità.
La vera rivelazione è Ginevra Francesconi, che tratteggia una quindicenne lacerata tra il senso di colpa e la voglia di riprendersi la sua identità. Regina sogna di cantare, ma quella voce si spegne dopo l’incidente. Trova conforto dove nessuno si aspetta: tra le lacrime della famiglia della vittima. E quando decide di raccontare tutto alla polizia, non lo fa per liberarsi. Lo fa perché non vuole diventare come il padre. Regina non è la storia di una redenzione: è la presa di coscienza che l’amore non basta, se non sa reggere la verità. Dimenticate la Calabria da cartolina o quella piegata dalla cronaca nera.
Alessandro Grande sceglie uno sguardo laterale, intimo, tutto costruito su silenzi, primi piani, scelte etiche. La regia è asciutta, quasi documentaristica, eppure mai fredda. Ogni inquadratura sembra dirci che nessuno si salva da solo. Anche la musica, elemento centrale nella vita dei personaggi, smette di essere colonna sonora e diventa voce interiore, sfogo e rifugio. Perché vederlo ora su RaiPlay? Non è solo un buon film. È un’occasione rara per vedere il cinema italiano contemporaneo fare quello che dovrebbe sempre fare: raccontare i legami familiari con coraggio, senza filtri, senza retorica. È un film che non giudica, ma osserva. Non consola, ma scuote. Ed è su RaiPlay, gratis, accessibile, pronto a colpire dritto dove fa più male.
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