Il film evento con Riondino e Germano va in onda su Rai 3: Palazzina Laf è la nostra coscienza operaia.
A volte il cinema serve a ricordarci chi eravamo, altre volte ci racconta chi siamo diventati. Palazzina Laf, il film d’esordio alla regia di Michele Riondino, non ha bisogno di scegliere: fa entrambe le cose con una ferocia gentile e una poesia dura come l’acciaio dell’Ilva di Taranto, dove tutto ha avuto inizio. Lo vedremo in prima serata su Rai 3, venerdì 28 giugno, ed è difficile immaginare un momento più adatto per portare in tv uno dei film italiani più premiati del 2023. Ispirato al libro Fumo sulla città di Alessandro Leogrande, a cui il film è dedicato, Palazzina Laf racconta una verità scomoda, reale e squisitamente italiana. Di quelle che si annidano nei reparti industriali, nei turni infiniti, nei silenzi forzati, nelle porte che si chiudono troppo in fretta.
La storia ruota attorno a Caterino Lamanna, operaio ingenuo che crede di salire di grado diventando una spia interna per i dirigenti dell’Ilva. Ma il prezzo da pagare è alto: finirà nella famigerata Palazzina LAF, un limbo lavorativo dove i dipendenti scomodi venivano parcheggiati in attesa che mollassero. Mobbing, isolamento, assenza di mansioni. Un microcosmo kafkiano, dove ogni giorno si somiglia e ogni ora pesa più della precedente. In questo deserto emotivo, Palazzina Laf ci mostra il volto crudele della violenza aziendale, quella che non lascia lividi ma svuota l’anima.
Accanto a Riondino, Elio Germano è inquietante e magnetico. Il loro duetto non è solo interpretazione, ma un match teatrale tra due modi di raccontare l’Italia ferita. Il primo più sommesso, il secondo più caustico. Entrambi spingono il film oltre il documentario, trasformandolo in una riflessione potente sul lavoro, la dignità e la memoria collettiva. Non è un caso che Palazzina Laf abbia conquistato tre David di Donatello nel 2024, tra cui Miglior attore protagonista, non protagonista e Miglior canzone originale. E non è solo una questione di premi: è una questione di giustizia. Il film di Riondino non è un pugno allo stomaco. È una mano sulla spalla, che però stringe forte. Ti chiede: tu cosa avresti fatto al posto di Caterino? Avresti denunciato? Avresti resistito? Avresti taciuto?
Ecco perché Rai sceglie di mandarlo in onda in chiaro: perché la storia della Palazzina LAF non è chiusa in un passato remoto. Riguarda ogni luogo di lavoro dove le persone vengono ridotte a numeri. Ogni città dove la scelta è tra un contratto e un tumore. Ogni volta che un diritto viene scambiato per un favore. Palazzina Laf è cinema d’impegno, sì, ma anche di emozione. Riondino non predica, racconta. Non giudica, mette in scena. E lo fa con un’eleganza ruvida che ricorda i migliori film di denuncia degli anni ’70, ma con un respiro moderno, universale. E allora sì, accendiamo la tv. E parliamone, commentiamolo, condividiamolo. Perché raccontare questa storia significa impedirle di ripetersi.
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