Martin Scorsese, Daniel Day-Lewis, Michelle Pfeiffer e Winona Ryder. Bastano questi nomi per capire che si tratta di qualcosa di unico, eppure in pochi giorni sparirà da Netflix.
L’età dell’innocenza è molto più di un film in costume. È una storia che parla di repressione, di scelte forzate, di sentimenti tenuti in gabbia. Uscito nel 1993 e tratto dal romanzo di Edith Wharton, ha ricevuto 19 nomination internazionali tra Oscar, Golden Globe, BAFTA, David di Donatello e Nastri d’argento. Un traguardo impressionante. Ma non bastano i premi a spiegare perché non puoi perderlo. Lo capisci dalla prima inquadratura. Dal silenzio carico di senso. Dallo sguardo trattenuto di Archer. Hai tempo solo fino al 31 maggio per immergerti in questo universo fatto di velluti, luci soffuse e dolori mai espressi. Dopo, potrebbe non tornare più.
New York, 1870. La società è rigida, l’etichetta soffoca ogni slancio. Newland Archer è un giovane avvocato. Promesso a May Welland, simbolo di perfezione borghese, crede di avere una vita già scritta. Tutto cambia quando arriva Ellen Olenska, la cugina di May. Separata da un marito europeo e decisa a divorziare, Ellen è il contrario di ciò che l’alta società accetta. È libera, intelligente, malinconica.
Tra Archer ed Ellen nasce un amore impossibile. Mai esplicito, ma presente in ogni gesto. In ogni rinuncia. May intuisce tutto e agisce. Usa la maternità, vera o presunta, per trattenere il marito. Anni dopo, vedovo, Archer ha l’occasione di rivedere Ellen a Parigi. Non sale le scale. Non bussa alla porta. Resta fuori, con il peso della vita che ha scelto.
Daniel Day-Lewis vive davvero come il suo personaggio per mesi. È Archer in carne e ossa. Rigidità, conflitto interiore, dolcezza repressa. Michelle Pfeiffer dà anima a Ellen. Una donna moderna intrappolata nel secolo sbagliato. Elegante, triste, meravigliosamente viva. Winona Ryder è May. Apparentemente ingenua. In realtà, la più strategica. Ha vinto il Golden Globe e collezionato nomination agli Oscar e ai BAFTA.
Tra i riconoscimenti principali:
Scorsese ha detto che questo è “il suo film più violento”. Nessuno sparo. Solo sguardi. Solo convenzioni che schiacciano le emozioni. La fotografia richiama i dipinti dell’Ottocento. Ogni scena sembra un quadro. Una lettera d’amore alla bellezza visiva. Il film ha ispirato i registi di drammi in costume come James Ivory e Jane Campion. Senza L’età dell’innocenza non avremmo avuto capolavori come Quel che resta del giorno o Lezioni di piano. Ma è anche qualcosa di più. È una riflessione su ciò che si perde per restare “accettabili”. Sui rimpianti che diventano normalità.
Netflix rimuoverà L’età dell’innocenza il 31 maggio. Questa è una delle ultime occasioni per (ri)scoprirlo. Non è solo un film. È una scelta. Un invito a sentire, anche quando fa male. Un grido silenzioso che, una volta ascoltato, non si dimentica più.
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