Paternal Leave, il debutto alla regia di Alissa Jung con Luca Marinelli che racconta i padri, i silenzi e l’inverno del cuore.
Napoli, una sera di maggio. Il Cinema Modernissimo si riempie per la proiezione di Paternal Leave, il film d’esordio alla regia di Alissa Jung, reduce dall’ottima accoglienza alla Berlinale. Sullo schermo, la storia di Leo, una ragazza tedesca che attraversa l’Europa per conoscere un padre che non ha mai voluto o potuto esserlo. In sala, accanto alla regista, c’è Luca Marinelli, che nel film interpreta Paolo, un uomo alla deriva tra rimpianti e speranze. Ma Paternal Leave non è il solito dramma familiare: è un racconto sospeso tra i venti freddi della riviera romagnola e le emozioni forti di un incontro che cambia tutto. Alissa Jung costruisce un’opera delicata, che scava dentro senza mai alzare la voce.
E Marinelli, con il suo volto denso e le pause significative, diventa la nota malinconica di una sinfonia costruita sul non detto. Al termine della proiezione napoletana, tra applausi e domande, Luca Marinelli si concede con la consueta ironia e un pizzico di pudore. Quando gli chiedo come abbia lavorato sul personaggio di Paolo per renderlo credibile, senza scadere nella caricatura del padre assente, sorride sul ‘lei’ e gli anni che avanzano. Poi si fa più serio: “Uno spartito, e tu devi decidere come suonarlo”. Le note erano già lì: la sceneggiatura scritta da Alissa. Il suo compito era solo quello di suonarlo come riteneva opportuno.
Marinelli racconta di aver percepito un’emozione autentica fin dalla prima lettura del copione. Paolo dunque andava raccontato così com’era: fragile, imbarazzato, spesso inadeguato. Ma mai ridicolo. La sfida era evitare che Paolo diventasse una figura stereotipata, un “cattivo padre” da manuale. E Marinelli l’ha affrontata a modo suo, dosando esitazioni e piccoli gesti, con un’umanità che resta impressa. Il pubblico non deve compatirlo, ma capirlo. E magari, nel silenzio di una scena, riconoscersi in lui. Paternal Leave conquista perché non giudica i suoi personaggi. Non ci sono buoni o cattivi, solo esseri umani imperfetti che provano a fare del loro meglio. Alissa Jung, alla sua prima regia, costruisce un racconto intimo e preciso, dove ogni paesaggio riflette un’emozione, e ogni dialogo non detto vale più di una confessione.
Il rapporto tra Leo e Paolo è un percorso a ostacoli: fatto di rabbia, silenzi, e tentativi goffi di avvicinamento. Juli Grabenhenrich, al suo primo ruolo importante, riesce a tenere testa a Marinelli con una grinta sorprendente. E il risultato è una chimica che brucia piano, ma lascia il segno. La fotografia invernale della riviera romagnola diventa una metafora potente della distanza tra padre e figlia, ma anche del loro lento avvicinarsi. Ogni inquadratura sembra sussurrare: “C’è ancora tempo”. Tempo per chiedere scusa, per imparare, per restare. Curioso pensare che dietro la macchina da presa ci sia la moglie dell’attore. E la scelta ha pagato. Marinelli restituisce un uomo rotto ma non finito, colpevole ma non irredimibile. Un padre che inciampa, ma che prova davvero a rimanere. Il pubblico napoletano applaude, e forse si commuove. Perché Paternal Leave è quel tipo di film che entra in punta di piedi e resta addosso. Come una telefonata mancata, o una carezza che non si è mai data.
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