Francesca Comencini è su Netflix. Ieri è tornata a far parlare di sé con Il tempo che ci vuole, film candidato a sei premi ai David di Donatello 2025. Una storia intensa, intima e autobiografica che ha emozionato pubblico e critica. Ma non è la prima volta che la regista romana rompe gli schemi e dà voce all’invisibile.
Prima del grande ritorno sul grande schermo, Comencini aveva già osato con un progetto insolito e sottovalutato: Luna Nera. Una serie fantasy tutta italiana, prodotta da Netflix, ambientata nel Seicento, diretta interamente da donne. Un’opera coraggiosa, visivamente potente, che all’epoca passò quasi inosservata. Ma che oggi, alla luce del suo percorso artistico, merita di essere rivista con occhi nuovi.
Luna Nera non è solo una storia di streghe e persecuzioni. È un grido di libertà femminile, narrato attraverso simboli, sguardi e magia. In un’Italia ancora profondamente patriarcale, Francesca Comencini ha scelto di raccontare una favola nera, dove le donne non aspettano salvezza: la costruiscono.
La serie ha un cast ricco e giovane: Antonia Fotaras (già vista ne L’Amica Geniale) interpreta Ade, una levatrice adolescente costretta a fuggire. Accusata ingiustamente, si rifugia tra donne considerate pericolose solo perché diverse. Tra loro, il pubblico scopre volti come Lucrezia Guidone (la direttrice Sofia in Mare Fuori), Manuela Mandracchia, Barbara Ronchi e Federica Fracassi. Attrici che oggi sono protagoniste assolute del cinema italiano contemporaneo.
Il contesto storico è quello della caccia alle streghe, ma il messaggio è contemporaneo. Luna Nera parla di marginalità, identità e forza collettiva. Parla di padri che impongono la legge e di figli che imparano a scegliere. E parla di amore, ma senza perdere dignità. Ade e Pietro non sono solo due giovani innamorati: sono il simbolo di due mondi opposti che faticano a parlarsi.
Netflix ha prodotto la serie nel 2020, affidando la regia non solo a Francesca Comencini, ma anche a Susanna Nicchiarelli e Paola Randi. Tre voci femminili che hanno dato forma a un racconto visivo potente, girato tra Cinecittà e le location più affascinanti del Lazio. Da Canale Monterano a Sorano, fino al Parco degli Acquedotti e al Castello di Montecalvello.
Ogni dettaglio è curato con attenzione. Costumi, scenografia, fotografia. Tutto contribuisce a creare un mondo sospeso, onirico, che sembra uscito da un dipinto antico. Ma sotto la bellezza estetica, c’è un’urgenza narrativa fortissima. Comencini racconta il dolore dell’esclusione, il potere delle donne unite, la paura dell’autorità cieca.
All’uscita, Luna Nera non ha ricevuto il successo che meritava. La critica è stata divisa. Il pubblico, disorientato. In Italia, il fantasy non ha una tradizione consolidata. E forse la serie è arrivata troppo presto. Ma oggi, con la nomination di Il tempo che ci vuole ai David, qualcosa cambia. Guardare Luna Nera dopo aver visto il film autobiografico di Comencini è come osservare le sue radici. La lotta personale e familiare del film trova una risonanza simbolica nella battaglia collettiva delle protagoniste della serie. Entrambe le opere parlano di una voce che non vuole più restare in silenzio.
La serie è composta da sei episodi, disponibili su Netflix. Ognuno dura circa 50 minuti. Un impegno leggero, ma carico di senso. Chi ha amato Baby o Suburra potrebbe trovare in Luna Nera qualcosa di completamente diverso. E per questo, più affascinante. Oggi è il momento perfetto per riscoprirla. Perché Francesca Comencini, con il suo sguardo limpido e radicale, ci ricorda che le storie dimenticate sono spesso quelle più vere. E che un’opera può essere visionaria non quando osa dire qualcosa di nuovo, ma quando ha il coraggio di dirlo da sola.
Non solo David, quindi. Ma una lunga strada fatta di visioni e sfide. Come Luna Nera, su Netflix. Da guardare ora, senza più pregiudizi.
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