Il Commissario Ricciardi 3 si fa attendere. Ma nel frattempo, su Netflix, c’è una serie capace di riempire quel vuoto emotivo lasciato dalla fiction Rai.
Si chiama Il giovane Wallander e, anche se viene dal Nord Europa, ha tutte le carte in regola per conquistare chi ha amato il commissario nato dalla penna di Maurizio de Giovanni. Le atmosfere sono fredde. I personaggi, tormentati. I casi da risolvere, moralmente spinosi. E poi c’è lui: un giovane poliziotto che non accetta l’ingiustizia e combatte anche quando tutto sembra già perso.
La serie è una produzione britannico-svedese, distribuita da Netflix a partire dal 2020. Si tratta di un prequel contemporaneo delle indagini del celebre Kurt Wallander, personaggio creato dallo scrittore Henning Mankell. L’ambientazione è moderna. La città è Malmö, in Svezia, anche se le riprese sono state effettuate a Vilnius, in Lituania. Una scelta curiosa che non compromette però l’atmosfera realistica e dura che si respira in ogni inquadratura.
Il protagonista è interpretato da Adam Pålsson, già noto al pubblico europeo, che riesce a restituire tutta la fragilità e la rabbia di un giovane uomo alle prese con un mondo che non perdona. Wallander, nella serie, non è ancora l’icona del giallo nordico. È un ragazzo che prova a fare la cosa giusta. Ma si scontra con una rete di criminalità, disuguaglianza e tensioni sociali che lo mettono costantemente alla prova.
Il giovane Wallander si articola in due stagioni da sei episodi ciascuna. La prima è uscita nel 2020, la seconda nel 2022. Ogni stagione è un piccolo romanzo visivo, con un caso da risolvere e una società da osservare con occhi nuovi.
Se hai amato i silenzi di Ricciardi, i suoi fantasmi interiori e il suo modo di guardare il mondo, allora riconoscerai molto di lui anche qui. Anche Wallander ascolta il dolore. Lo vive sulla pelle. Lo porta in ogni gesto. I temi affrontati sono forti: immigrazione, conflitti sociali, brutalità della polizia, discriminazioni. Ma mai trattati con retorica. La scrittura è secca, tagliente. La regia, minimale. La tensione, costante.
Ogni episodio lascia il segno. Non c’è spazio per la speranza facile. Ma c’è spazio per le domande. Per i dilemmi. Per la solitudine. Ed è proprio lì che nasce il legame con chi guarda. Wallander non è un eroe. È una persona. E forse è proprio questo che lo rende così vicino a Ricciardi. Non salva tutti. A volte non salva nessuno. Ma non smette mai di provarci. È una serie per chi ama il giallo psicologico, ma anche per chi cerca una narrazione densa di senso. Per chi crede che un crimine dica molto più di quello che appare.
Su Netflix, Il giovane Wallander aspetta solo di essere scoperto. Non farà rumore. Non ti abbaglierà con effetti speciali. Ma ti prenderà il cuore e lo stringerà piano, fino a lasciarti senza fiato.
In attesa del ritorno su Rai 1 di Lino Guanciale e del suo commissario capace di parlare con i morti, questa è la storia che può riaccendere le stesse emozioni anche se in un’altra lingua e in un altro Paese. Ma con lo stesso gelo nell’anima. Non aspettare. Premiti play. E lasciati investire dal silenzio e dal dolore. Ne vale la pena.
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