Schizzo Abitare il Paese/ Open Nests Migliore+Servetto

L’Italia è un Paese a tempo

Giuseppe Cappochin

n.4 luglio/agosto 2019

Di fronte alla crisi del Paese è urgente individuare nuove linee di risorse. Non investimenti a pioggia, ma un piano nazionale vero e proprio che finanzi progetti integrati di rigenerazione urbana. Un Piano ambizioso, in grado di integrare i diversi livelli di risorse disponibili e che porti anche a sistema la forza di investimento dei privati

Gli studi condotti a partire dalla fase precongressuale dal Cnappc e dal Cresme confermano e rafforzano la necessità improcrastinabile di dare attuazione al progetto ‘Abitare il Paese’, sintetizzato nei documenti e nel manifesto dell’VIII Congresso Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.

Essi evidenziano con la forza dei numeri che ‘l’Italia è un paese a tempo”: i dati del Cnapp/Cresme sono allarmanti e chiamano a un’azione forte di rilancio perché investire nel territorio significa investire nella ripresa del Paese.

Le analisi, finalizzate a definire l’esatta fotografia del Paese e a disegnare gli elementi per una nuova politica territoriale, evidenziano da un lato ‘un patrimonio edilizio datato’, con una forte percentuale di capitale fisso edilizio realizzato negli anni 1946-1970, periodo di produzione priva di normativa antisismica e segnata da modelli speculativi caratterizzati da bassa qualità edilizia, dall’altro una ‘significativa riduzione della produzione di nuovi edifici’, passata da una media di quasi 200.000 edifici all’anno negli anni Sessanta e Settanta a meno di 29.000 tra il 2001 e il 2018, edifici in linea con le nuove normative (strutturali, di produzione di CO2, consumi energetici, ecc..).

Partendo dal presupposto del ruolo significativo delle costruzioni nell’economia italiana, l’analisi aggrega, correttamente, in tale settore il valore della produzione di nuove costruzioni, la manutenzione straordinaria e ordinaria, il valore aggiunto del mercato immobiliare e le risorse e i servizi necessari all’accesso e al mantenimento del bene immobiliare. Il valore complessivo di questo aggregato, prima della crisi, era pari al 29% del PIL; con la crisi è sceso al 17%.

Nel 2018, pur con un po’ di ripresa in atto, gli investimenti nel settore delle costruzioni sono scesi ai livelli del 1967, con effetti significativi sull’accelerazione del degrado del patrimonio esistente, sempre più maltenuto, inutilizzato, abbandonato in varie parti del Paese, nelle periferie residenziali e industriali, nei territori delle aree interne, nei centri storici delle città del Sud.

Il Cresme ha sviluppato un confronto tra la produzione edilizia del periodo 2003-2009 e quella 2010-2018; considerando la produzione media del primo periodo e la produzione media del secondo, tale confronto dimostra che l’Italia ha visto sparire, in otto anni, 364 miliardi di euro complessivi nelle costruzioni, con 104 miliardi di euro in meno per gli investimenti nelle opere pubbliche.

L’unico comparto di attività che è cresciuto è quello della manutenzione del patrimonio residenziale privato, con una crescita negli ultimi otto anni, rispetto ai primi anni 2000, di 21,8 miliardi di euro, 2,7 miliardi in più all’anno. La ricerca in corso ci dice, però, che queste risorse sono state destinate a interventi ‘leggeri’ (finiture, impianti e infissi) e non strutturali e di riqualificazione edilizia complessiva degli edifici.

Le condizioni manutentive critiche non interessano solo gli edifici ma anche le reti infrastrutturali, le strade, i ponti, le reti idriche, le reti fognarie, i porti. 

Fare il punto su questa situazione vuol dire fissare le basi di un’analisi nuova: costruire un quadro critico di consapevolezza da coniugare con il processo di innovazione tecnologica, con le dinamiche demografiche, con lo scenario climatico-ambientale previsto per i prossimi anni; vuol dire riflettere su una nuova politica per il territorio, utilizzando risorse strutturali, politica fiscale, incentivi e nuovi modelli normativi.

Occorre promuovere azioni virtuose anche nel ripensare il processo di definizione del progetto inteso come elemento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi che andremo a descrivere.

Con l’VIII Congresso Nazionale è stata costruita una linea di azione volta ad affrontare i nodi che emergono:

– la crescita degli squilibri tra parti di città, tra la città dei ricchi e la città dei poveri;

– il contesto del cambiamento climatico che pone la questione della crescita sostenibile;

– il processo di digitalizzazione dell’economia;

– il degrado del patrimonio esistente, fatto di edifici e infrastrutture per i quali il tempo passa e l’obsolescenza cresce.

Sono tutti temi chiave di una nuova stagione politica per la rigenerazione urbana da considerare come l’alternativa virtuosa alle espansioni incontrollate e all’ulteriore consumo di suolo. Da qui bisogna partire. 

E per questo servono linee nuove di risorse. Non investimenti a pioggia, ma un piano nazionale vero e proprio che finanzi progetti integrati di rigenerazione urbana.

Recupero edilizio, riqualificazione energetica e smart grid, ovvero i settori di intervento più dinamici e in grado di sviluppare i più ampi benefici sulla qualità del vivere urbano, oltre che il maggior impatto occupazionale, sono parte integrante di una nuova stagione di interventi e pianificazione di rigenerazione urbana.

Nel difficilissimo 2018, in Italia, 90 miliardi di euro sono stati destinati alla manutenzione del patrimonio esistente, di cui 51 miliardi per l’edilizia residenziale. Secondo le stime del Cresme, 28 dei 51 miliardi sono stati incentivati dalle agevolazioni fiscali. Si tratta però di risorse disperse, non portate a sistema, fatte di tanti piccoli interventi di riqualificazione puntuale: un mercato minuto che viene incentivato con politiche fiscali generiche.

È il momento per un Piano più ambizioso, in grado di integrare diversi livelli di risorse disponibili e che porti anche a sistema questa forza di investimento dei privati, un‘Piano di azione nazionale per le città e i territori sostenibili’, incentrato su:

– ‘equità territoriale’, promuovendo la pianificazione d’area vasta e la progettazione di interventi infrastrutturali su scala intercomunale o metropolitana, con una visione policentrica degli insediamenti urbani, privilegiando la ‘densificazione’ dei servizi e delle residenze solo in corrispondenza dei principali nodi della rete dei trasporti collettivi;

– ‘inclusione sociale’, ricomponendo l’unitarietà dell’organismo urbano, riqualificando le periferie e l’edilizia popolare, contrastando i fenomeni di emarginazione economica ed etnica e la connessa tendenza alla frammentazione e segregazione spaziale;

– ‘sviluppo della cultura, della partecipazione e della creatività collettiva delle comunità locali’, quali fattori essenziali non solo per progettare e gestire con intelligenza i processi di trasformazione fisica delle città e dei territori in grado di rispondere alle concrete esigenze e aspirazioni delle persone, ma anche per sviluppare la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica, per dar vita a nuove attività nei settori della green economy creando nuove opportunità occupazionali, per modificare in chiave ecologica gli stili di vita, i comportamenti e le abitudini di consumo degli abitanti;

– ‘qualità dei paesaggi, degli ambienti urbani, dello sviluppo pubblico e delle architetture’ a cui potrà contribuire il sistematico utilizzo, sia per gli interventi pubblici che auspicabilmente anche per quelli privati, di concorsi di progettazione, basati sulla conoscenza e su una preliminare valutazione degli effetti di contesto urbano e paesaggistico preesistente, coinvolgendo in un ampio dibattito pubblico residenti e stakeholder, per una chiara indicazione degli esiti attesi non solo sotto il profilo spaziale e architettonico, ma anche con riferimento alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica degli interventi;

– ‘lotta ai cambiamenti climatici’, contribuendo a eliminarne le cause e prescrivendo le misure di adattamento necessarie per limitarne gli effetti (resilienza urbana);

– ‘riduzione del consumo di suolo agricolo e urbano’, partendo dal principio che la città del prossimo futuro sarà essenzialmente la città esistente con le evoluzioni che al suo interno si renderanno necessarie. Ciò sarà possibile incentivando il recupero e la riqualificazione urbanistica ed ecologica delle aree dismesse e del patrimonio edilizio abbandonato;

– ‘valorizzazione del territorio rurale e dell’agricoltura anche in ambito urbano e periurbano’, incentivandone la riconversione ai principi dell’agricoltura biologica e alla produzione di beni e servizi diversificati (biodiversità, paesaggio, corridoi ecologici, ospitalità agrituristica, attrezzature per il tempo libero, vendita diretta dei prodotti…).

La sfida è quella di pensare a uno strumento, frutto di indirizzo della politica nazionale, che convogli parte delle risorse esistenti, settoriali e distribuite a pioggia, verso interventi programmati e pianificati, definiti da un ‘Piano d’azione organico per la città e il territorio sostenibile, un piano, promosso dall’attore pubblico locale, costituito su scala urbana ampia, da 10.000 a 150.000 abitanti come prevedono i fondi SIE.

Il tutto sostenuto da un insieme di risorse integrate, come i nuovi Fondi strutturali e di investimento europei, i fondi di investimento come i green bond o i Sustainable and Responsible Investment, le risorse già disponibili a livello nazionale, regionale e locale, gli interventi minuti dei privati.

Con il piano di azione nazionale, il Cnappc intende proporre un innovativo modello di intervento nel campo della rigenerazione urbana partendo dalle aree critiche delle città, attraverso l’attivazione di un percorso di partenariato pubblico e privato diffuso, in grado di attivare la partecipazione e integrare diversi livelli di intervento e di risorse finanziarie. 

Il modello si ispira agli obiettivi posti dal Trasforming our world. The 2030 agenda for sustainable development dell’Onu, dall’Agenda Urbana dell’Unione Europea; dalla Carta di Bologna per l’ambiente. Le Città metropolitane per lo sviluppo sostenibile; e dalla Strategia Europa 2020 che sottende la programmazione dei Fondi strutturali e di investimento europei (Fondi SIE) 2014-2020 e i primi indirizzi della programmazione 2021-2027.

Quello che chiediamo, in sintesi, è una nuova linea sperimentale di risorse nazionali come catalizzatori per realizzare ‘investimenti territoriali integrati plurifondo di rigenerazione urbana’ con modalità innovative.

Le poche leggi che si sono succedute sul tema della città, tra le quali quella sulle periferie, pur lodevoli per l’attenzione, si sono sempre basate su un principio: individuazione delle risorse disponibili, presentazione di progetti che si possano subito realizzare, distribuzione delle risorse.

Lo stimolo che qui si vuole lanciare, al contrario, ha come ambiti di azione i ‘piani strategici per le città italiane’. Per prima cosa bisognerebbe mettere a disposizione degli enti locali, delle città, un fondo di rotazione per la realizzazione di piani strategici di sviluppo, sul modello delle Visions che molte città europee e solo alcune italiane hanno realizzato. Un piano che tenga conto degli obiettivi dell’Agenda urbana europea, dello sviluppo sostenibile, delle indicazioni che emergono dai Fondi strutturali europei. Questi piani devono incorporare le priorità degli interventi da realizzare in relazione alla visione strategica, ed è relativamente alle opere indicate in questi piani che sarà possibile ottenere i finanziamenti.

La città deve evitare lo spreco di suolo, essere compatta, curare la mixité funzionale e sociale, essere energeticamente efficiente, sostenibile, intelligente, sicura e sana, armonizzando gli apparati normativi in ambito urbanistico, ambientale ed edilizio. La città sostenibile è frutto della Baukultur, una diversa cultura del costruire e del progettare di qualità, rispondendo alle esigenze dei tempi.

I territori extraurbani, caratteristica e peculiarità del nostro Paese, dovranno essere valorizzati e connessi sia fisicamente che digitalmente per garantire un corretto rapporto tra la città e i territori. Un rapporto osmotico e permeabile che possa portare valore aggiunto e opportunità a entrambi. 

L’obiettivo della rigenerazione non può prescindere ‘dall’incremento dell’efficienza dei processi di investimento nelle città e quindi dalla certezza dei tempi del processo decisionale’. Le politiche tese a contrastare il consumo di suolo non possono prescindere dagli interventi di rigenerazione della città, in quanto l’azione separata è perdente su entrambi i fronti. 

Considerato che rigenerare è molto più oneroso che costruire ex novo risulta, quindi, indispensabile ribaltare il sistema delle convenienze che tuttora privilegia l’edificazione su terreni vergini, piuttosto che la riqualificazione degli ambiti urbani degradati, ed è necessario prevedere, accanto a un quadro di regole trasparenti, un sistema di convenienze che garantiscano la ‘sostenibilità economica’ dell’intervento. Senza quest’ultima non si potrà in alcun modo ipotizzare un intervento che sia totalmente/parzialmente a carico del promotore e per questo occorrerà poter disporre di una serie di elementi incentivanti che rientrano nella sfera pubblica (fiscalità nazionale/locale, riduzione degli oneri concessori, finanziamenti strutturali e non straordinari).

Abbiamo un grave problema a livello di processo decisionale. I tempi lunghi per la realizzazione delle opere riguardano quello che il Nucleo di valutazione del ministero dell’Economia ha definito ‘tempi di attraversamento’, vale a dire i tempi che passano tra una decisione e l’altra. Questi tempi incidono sulle grandi opere di carattere strategico, ma anche sull’operatività degli interventi locali, e, in particolare, su quelli di rigenerazione urbana.

E se va detto che debito pubblico e politiche di bilancio hanno assottigliato le competenze degli enti locali, ridotto il personale e soprattutto le capacità tecniche, va anche detto che è necessario far tornare la variabile ‘tempo certo’ al centro dell’azione amministrativa.

Una parte della soluzione al problema sta sicuramente nella qualità della progettazione, e, come più volte ribadito, una soluzione si può trovare nei concorsi di progettazione aperti in due gradi.

Giuseppe Cappochin
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