Mantova

Italia Paese Urbano

Diego Zoppi

n.5 settembre/ottobre 2019

Il sistema Paese, negli ultimi trent’anni ha ridotto molto la propria competitività, sia socio-culturale sia economica, al punto da essere oggi in forte difficoltà. Il fenomeno interessa maggiormente tutta la dorsale appenninica e le aree montane, in continuo abbandono, così come le nostre tante città di provincia. Per questo motivo il futuro della città media italiana è stato il tema di una delle tavole rotonde tenute a Bard, di cui le pagine che seguono danno conto

L’Italia, luogo tradizionalmente impostato su centri medio-piccoli ma diffusi capillarmente, ha forse potenzialità inespresse, a patto che sappia connetterle e coordinarne le singole potenzialità a fronte di dimensioni che difficilmente permettono di sviluppare eccellenze che superino i confini locali.
D’altronde, la città italiana è una delle massime espressioni del Paese: 54 dei 60 milioni di italiani vivono in centri abitati: un terzo vive in città medio-piccole, un terzo nei grandi centri, i restanti in insediamenti diffusi.
Questa asserzione racchiude, nella sua semplicità, la forte cultura di urbanità e socialità che ne discende e rappresenta in larga parte la penisola italiana.
Una rete insediativa che si è evoluta in un lunghissimo lasso di tempo, regolata da un’orografia complessa che ha determinato una maggiore stanzialità lungo le coste e nelle limitate regioni pianeggianti, prima regolata dalle geometrie territoriali romane, poi dall’orografia usata in chiave difensiva in epoca medioevale, quindi con le gerarchizzazioni di epoca rinascimentale e infine con le espansioni dovute all’introduzione dei modelli industriali, qui arrivate ben dopo le esperienze sviluppatesi a nord delle Alpi.
Il risultato è un tessuto insediativo basato su una rete di centri urbani, morfologicamente caratterizzati dalla lunga stratigrafia storica e quindi evolutivamente lenti, mediamente piccoli (specie se visti su scala continentale) con una decina di centri maggiori tra cui solo una piccola parte (o forse la sola Milano) ha oggi logiche di crescita e sviluppo assimilabili a quelle delle grandi città europee, per la grande parte connotate da logiche peculiari, quasi ‘personali’.

L’ITALIA È UN PAESE URBANO CHE DEVE RITROVARE LA CAPACITÀ DI EVOLVERE
La maggiore peculiarità del sistema insediativo italiano non è data dalla dimensione medio-piccola dei centri e dal loro numero. Come descrive di seguito Lorenzo Bellicini, Direttore del Cresme (Centro ricerche economiche e sociali del mercato dell’edilizia), l’Italia ne possiede un numero in linea con quelli della Germania, della Francia o della Spagna. La singolarità è proprio nella peculiarità di ciascuno di essi. Peculiarità che ha origini culturali storiche, mantenute attraverso il sistema amministrativo locale italiano, (che anche con l’accresciuto peso delle Regioni, non ha mai saputo incentivare il coordinamento tra territori) e che da una parte preserva identità e caratteri tipici, ma dall’altra rappresenta un ostacolo per tenere il confronto con i grandi centri in termini di benessere.
Dunque, le città medie godono di fama dell’archetipo di comunità a misura d’uomo, ma se approfondiamo l’esame, emerge un quadro, spesso impietoso, di decadenza fisica e infrastrutturale, caratterizzato da inefficienze gestionali e generale incapacità di allinearsi con la contemporaneità.
Il quadro che emerge dall’analisi Cresme sulla città media italiana è variegato: a volte città sonnolente e provinciali, a volte eccellenze produttive, a volte eccellenze gastronomico-turistiche. Quali sono i fattori che determinano destini così diversi per situazioni apparentemente simili?
Il CNAPPC ha organizzato un incontro di due giorni presso il Forte di Bard, all’ingresso della Valle d’Aosta, dove esperti di diversa estrazione professionale e culturale si sono confrontati in numerose tavole rotonde, per maturare conoscenze sulle dinamiche urbane attuali e prossime.
Nella stessa occasione, il CNAPPC ha chiesto ad alcuni di loro di commentare i ‘principi’ che si vorrebbe proporre al Paese per una evoluzione delle regole che sottendono la costruzione e la gestione della Città.
La riflessione non è quindi fine a se stessa ma vuole rappresentare uno strumento di conoscenza per proporre un progetto: PROGETTARE IL PAESE, per dare futuro alle città e ai territori dove abitiamo.
Progettare il Paese significa avere visioni, immaginare strategie, lavorare a progetti strategici che rispondano ai bisogni espressi dalla Comunità, lavorando in rete con tutti i soggetti pubblici e privati che hanno a cuore la necessità di migliorare la qualità della propria vita e dell’ambiente in cui essa si svolge.
Progettare il Paese significa proporre un nuovo sistema di regole che devono sovraintendere le procedure, significa prendere atto di nuove relazioni tra le parti, significa avere contezza di nuovi ‘valori’ che entrano in gioco, significa avere il coraggio di superare molte delle idee su cui si sono costruite le regole del Novecento, quelle regole utili alla costruzione delle città, ma inadatte alla ‘ricostruzione delle città’, alla rigenerazione urbana.
Sappiamo che la dimensione delle città è oggi un fattore determinante per garantirne competitività e molti analisti urbani individuano la soglia dei 300.000 abitanti quale dimensione minima della città che possa assurgere alle qualità suddette.
Ovviamente, il ruolo che ogni città detiene non è solo in funzione della dimensione (che funziona come base di partenza) ma è largamente influenzato da molti fattori tra cui, semplificando, possiamo ricordare:
1) la capacità di offrire lavoro (e quindi reddito);
2) la capacità di offrire un’alta qualità della vita (qualità di servizi, mobilità, cultura, ambiente, salute);
3) la capacità di comunicare un futuro interessante (avere strategie per il futuro).
Queste caratteristiche riassumono quell’elenco, ormai noto, sempre presente in convegni e articoli rappresentato dai 17 Goals dell’Agenda Urbana 2030 dell’Onu e della UE, da tutti riconosciuto quale nuovo paradigma delle città del XXI secolo.
Città che non crescono ma si trasformano secondo modelli congeniali ai modelli di società che le abitano, città che sanno reinventare le regole di cambiamento e di gestione, abbandonando vecchie categorie novecentesche, utili per città che crescevano ma inadatte per città che devono cambiare sostanza mantenendo la stessa ‘pelle’ e i propri confini, cambiando il rapporto osmotico con i territori naturali o rurali attigui.
Si ritiene utile allora esaminare in questa prima riflessione collettiva (altre ne seguiranno su questa testata) alcuni elementi caratterizzanti la città italiana, città che, singolarmente, appare ‘sottosoglia’ e pigra nei cambiamenti ma che, se organizzata in sistemi allargati e integrati, potrà confermare il proprio status di ‘dispensatrice di buon vivere’ e non cedere il passo a quanto offerto dalla concorrenza delle super-città di livello continentale quali Londra o Parigi, capaci ormai di esercitare attrattività e drenaggio di risorse umane anche a grandi distanze.

Diego Zoppi
Diego Zoppi
Nato a La Spezia nel 1960, si laurea nel 1987. Eletto Consigliere nell’Ordine degli Architetti di Genova nel 2005, ne ricopre la carica di Presidente dal 2015.
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